L’Albatro n.9: “Egitto: Gli Invisibili”

Cogito ergo sum: penso dunque sono.
Questa frase, probabilmente uno dei postulati più celebri della storia, fu espressa da Cartesio per la prima volta nel “Discorso sul metodo”: io, in quanto essere pensante (quindi, in quanto essere umano), sono, esisto.
Cartesio esplicitò quella recondita sensazione umana di essere parte di un tutto, semplicemente perché il nostro cervello è in grado di formulare pensieri, congetture, idee. Applicando questa frase del sedicesimo secolo al mondo contemporaneo, mentre facciamo roteare il mappamondo, è subito lampante che vi siano luoghi, sul pianeta terra, in cui all’essere umano viene tutt’ora impedito di pensare, e quindi di esistere. Uno di questi è l’Egitto, a qualche chilometro di distanza dalle coste europee, dove la vita sembra avere un valore relativo, dipendente dalle volontà di un regime spietato. Il recente caso di Patrick George Zaky, infatti, è solo l’ultimo episodio di una buia narrazione, protratta ormai da anni, che sta caratterizzando la storia contemporanea del paese. 

Murales per le vie centrali del Cairo, dedicati alle vittime del regime egiziano

Una rivoluzione e un golpe, nel giro di tre anni: dal 2011 ad oggi l’Egitto si è reso protagonista di diverse vicende, correlate tra loro, che hanno condotto alla dittatura instaurata da ʿAbd al-Fattāḥ Saʿīd Ḥusayn Khalīl al-Sīsī, presidente egiziano in carica dall’8 Giugno 2014. Violenza, repressione, silenzio e copertura da parte delle potenze occidentali hanno reso questo regime, ad oggi, uno dei più potenti ed efferati a livello mondiale.

Tuttavia, come di consueto, non possiamo capire il presente senza prima aver compreso le logiche passate.

Tutto ha inizio nel 2011: il 17 Gennaio, nel centro del Cairo, un uomo si uccide dandosi fuoco, in pieno giorno. L’episodio fa eco al precedente di Mohamed Bouazizi, mercante di Tunisi che, pochi giorni prima, compì il medesimo gesto estremo a seguito di continue e reiterate intimidazioni da parte della polizia. Il 25 Gennaio, dopo altri due casi simili, venticinquemila persone marciano unite per le strade della capitale chiedendo le dimissioni dell’ex presidente Hosni Mubarak, al governo del paese da trent’anni, oltreché l’eliminazione dello stato d’emergenza, in vigore proprio a partire dal giorno dell’elezione di Mubarak, nel 1981. Nei giorni successivi la rivolta si rafforza, così come la repressione: la polizia arriva ad arrestare, in soli due giorni, circa mille persone. In seguito a svariati giorni di intense trattative, dopo che le forze militari egiziane iniziano a solidarizzare con i manifestanti, Hosni Mubarak rassegna le proprie dimissioni, l’11 Febbraio, a meno di un mese esatto dall’inizio delle proteste.

26 Gennaio 2011, un gruppo di manifestanti innalza muri di fiamme contro le cariche della polizia

Il potere viene posto nelle mani del Consiglio supremo delle forze armate che, a seguito di un Referendum costituzionale approvato dalla maggioranza degli egiziani, indice nuove elezioni. Il 23 Maggio la popolazione si reca alle urne ed elegge Mohamed Morsi, esponente del partito Libertà e Giustizia, ala politica dei Fratelli Musulmani, nemici storici del sistema militare egiziano.

Morsi governa il paese fino al 2013 quando, dopo un decreto che gli attribuiva poteri più ampi nella gestione del potere giudiziario, le strade del Cairo si riempiono, ancora, di migliaia di manifestanti che chiedono la deposizione del presidente in carica: a guidare le proteste è il Tammarud, il principale movimento d’opposizione a Mohamed Morsi. Quel che emerge è un’imponente manifestazione di forza, culminata nel golpe del 3 Luglio 2013: il comandante in capo delle Forze Armate egiziane, il generale Abdel al-Sisi, mette in atto un capovolgimento di potere, guidando la deposizione del presidente Morsi. Da subito, la situazione nelle strade egiziane sfocia in una guerra civile, con violente rappresaglie militari ai danni dei Fratelli Musulmani e del Fronte di salvezza nazionale (che riuniva la totalità delle forze politiche e sociali di opposizione, protagoniste della rivoluzione del 2011). Il colpo di stato riesce, vengono indette nuove (false) elezioni per il 26 Maggio del 2014 in cui si proclama, ovviamente, il trionfo di Abdel Fattah al-Sisi, con il 96,9% dei voti. I risultati di queste consultazioni si sono replicati, con lo stesso numero di voti, nelle elezioni del 28 Marzo 2018.

Abdel Fattah al-Sisi

Con al-Sisi al potere, in Egitto si è andata gradualmente delineando la struttura tipica di un feroce regime totalitario: repressione ed incarcerazione degli oppositori (o presunti tali), persecuzione e detenzione dei giornalisti (soprattutto internazionali), uso generalizzato e reiterato di sistemi di tortura nei confronti dei detenuti, e si potrebbe continuare ancora. Il rapporto di Amnesty International sulla dittatura egiziana fornisce tutte le prospettive necessarie per interpretare la situazione: la detenzione arbitraria sembra essere uno degli strumenti più utilizzati dal regime egiziano, con processi falsi e continue violenze ai danni di innocenti. E’ il caso di Giulio Regeni, torturato e ucciso dal regime di al-Sisi nel Febbraio 2016, trovato morto in una prigione dei servizi segreti egiziani.

Erano tutti innocenti Mohamed Abdallah, Rami Shafiq, Mohamed Monsen, Essam Issa, Rami El-Sharkawy, Hend Kamal. Erano tutti invisibili, vittime di un sistema assassino, la cui scomparsa, spesso scomoda, viene pericolosamente registrata tutt’oggi da piccole associazioni resistenti come killedinegypt.org, organizzazione no-profit che tiene conto di tutte le uccisioni perpetrate dal regime egiziano. Giovani donne e uomini, studenti e lavoratrici, ma anche parenti di vittime, colpevoli semplicemente di onorare la memoria dei propri consanguinei.
Innocente era Shaima Al-Sabbagh, attivista per i diritti dei lavoratori, leader del Partito dell’alleanza popolare socialista, uccisa da tre colpi di pistola il 24 Gennaio 2015, durante una marcia pacifica a sostegno delle persone uccise nella rivoluzione del 2011.

Innocente è Patrick George Zaki, 27enne ricercatore dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, arrestato e torturato dalla polizia al-sisiana. Il giovane egiziano, tornato nel suo paese di nascita per fare visita ai genitori, è accusato di «incitamento a sovvertire il sistema politico promuovendo pensieri che mirano a cambiare i principi costituzionali, diffondere notizie false volte a minare l’ordine sociale e promuovere il caos, gestire e utilizzare un account Facebook con lo scopo di disturbare l’ordine pubblico, mettendo in pericolo la sicurezza della società e dei cittadini…».

Accusato, e torturato, semplicemente per aver pensato, e quindi vissuto.

Installazione artistica di Laika, street artist romano, a pochi metri dall’ambasciata egiziana a Roma, raffigurante Giulio Regeni e Patrick George Zaky

L’arresto di Zaky ha subito scatenato un’onda generale di dissenso e sconcerto nei confronti della dittatura di al-Sisi, ma ogni singolo atto di violenza e sottomissione perpetrato dal suo governo è stato possibile anche grazie al silenzio-assenso delle potenze mondiali, con cui al-Sisi stesso ha stretto proficue relazioni: l’Italia, ad esempio, rappresenta uno dei principali partner commerciali del regime egiziano. I due paesi, infatti, intrattengono una forte sintonia economica, soprattutto sul fronte energetico e bellico. L’ENI è, d’altronde, storicamente presente nel paese nordafricano e, proprio di recente, ha annunciato la scoperta di un enorme giacimento di gas nella valle di Zohr, considerato la più grande scoperta di gas mai realizzata in Egitto e nel Mar Mediterraneo”. Inoltre, il quotidiano panarabo Al Araby al Jadid ha pubblicato (proprio nei giorni della scomparsa di Patrick Zaky) la notizia di “un’imminente accordo bellico tra Italia ed Egitto per un importo di nove miliardi di euro.” Ulteriormente, “si sta anche aspettando l’approvazione del governo italiano per vendere due fregate della marina militare all’Egitto per un totale di 1,5 miliardi di euro.”

Così, se da un lato i politicanti e le istituzioni di turno, europee ed italiane in primis, apparentemente si struggono in dichiarazioni di solidarietà per Zaky, promuovendo in alcuni casi intere ed infinite campagne istituzionali “in favore della verità” (vedi il caso Regeni), d’altro canto sanno perfettamente come stringere accordi ed affari con gli stessi mandanti dei soprusi sopracitati.
Insomma, quando si tratta di denaro non si pensa a nulla, e quindi non esiste nulla:
non esiste il sangue, la tortura, la repressione. Non esiste Giulio Regeni, non esiste Patrick George Zaky, non esiste Shaima Al-Sabbagh. Quasi invisibili, come i sottili fili tessuti fra le oscure stanze di tortura egiziane e i democraticissimi palazzi di potere occidentali.

Mister O
(Artwork: LaCirasa)