Le tre voci (Parte I)

In uno stabile abbandonato, sprofondato in una bolla di verde, che ha per confini le strade oltre le quali si stagliano i palazzi moderni, le edicole dalle vetrine lucenti che inghiottono uomini, i cinema dalla facciata monocromatica o variopinta, i giornali svolazzanti, i fiati e ogni corsa frenetica che taglia la direzione della precedente si interseca con altre cento nello stesso punto e ne genera ancora altre, destinate a scomparire nel nulla di questo mostro orchestrale, sento tre voci dalle note calde e solleticanti, sento tre sinistri arpeggi che mi rendono ebbro.

Ora vedo e odo qualcosa che non riesco a riconoscere e che mi attrae verso la stanza più buia, e mi chiedo se quest’ultima esista realmente e se le voci abbiano origine nella mia mente o siano come tre spettri senza quiete. 

Ci sono tre distinte voci che ululano e chiacchierano nella stanza più buia del vecchio edificio che sembra parlare di sé attraverso i calcinacci e la polvere.

Stamane mi sono alzato pensando a quelle tre voci di cui la mia mente sibilava il ricordo mentre dormivo, e mi sono  chiesto come fossero balenate nel mio cranio, tuttavia, non trovando nessuna spiegazione razionale, mi sono ridotto a descriverne solamente i tratti distintivi e ho tralasciato ogni spiegazione sulle possibili relazioni che potrebbero intercorrere tra queste tre essenze che assumono la forma ed il comportamento di “voci” nel manifestarsi, infine ho apposto su di esse il marchio della confusione mentale per separarle da quella schiera di pensierucci ordinati e composti che mai accetterebbero dei nuovi arrivati di natura diversa rispetto alla loro.

I pensieri sanno essere razzisti fra loro e la confusione mentale potrebbe essere l’utero che ha generato le tre voci.

Potrei essermi lasciato andare a lacunose congetture.

Ma queste voci le ho sentite nel sonno, dunque potrebbero manifestarsi solo quando sono in stato di dormiveglia.

Forse sono solo illusioni.

Sono sogni che escono dalle loro rispettive regioni oniriche per impegnarmi quando sono desto? Non mi pare, anche perché non sono mai stato inseguito dai sogni al di fuori delle ore di sonno. Queste tre essenze non si presentano come i “relitti” di sogni dimenticati o, addirittura, mai ricordati già dal mattino seguente, tuttavia la loro forma sembrerebbe essere in parte affine a quella di certi sogni confusi di cui si ricorda solo un colore o un miscuglio dalle molteplici sfumature, un suono, un odore sgradevole o delicato, magari accompagnati da luci simili a quelle che possiamo vedere mentre, tenendo gli occhi chiusi, indirizziamo il volto verso una lampada accesa; parlo di quei sogni che molti potrebbero interpretare come la prova del fatto che la memoria sia portata ad immagazzinare in maniera confusa ed illogica i contenuti di alcuni fra i pochi sogni che, sfortunatamente e con gran perdita, noi uomini riusciamo a ricordare.

A volte il sogno che noi descriviamo come confuso non é tale, dunque non é confuso ma lo é il ricordo che, inspiegabilmente, assomiglia alle conseguenze materiali del lancio di un secchio contenente una vernice costituita da più tinte, sprizzi e schizzi in ogni direzione ed al centro la massima espressione del colore con la sua vivace intensità. Ma é solo colore e niente di più, anzi si tratta di una luminosa macchia nella quale non si scorge nessun disegno, nessun messaggio, nessun riflesso concettuale; tuttavia, nella più indecifrabile confusione si ha, a volte (ma non sempre), l’impressione che forse proprio il tratto caotico della formulazione mnemonica (grazie alla quale si può pensare al sogno, ma che in questo caso fornisce solo un’immagine non intelligibile), sia ordinato e organizzato, quindi creato secondo un ordine che designa uno scopo per quella forma a sua volta caotica applicata ad un determinato gruppo di immagini o di elementi facenti parte, appunto, di un sogno. Quindi, se tutto ciò fosse vero, il ricordo del sogno potrebbe non essere inesplicabile in sé, ma in virtù di una forma caotica che agisce sui contenuti onirici.

Per una casualità (o almeno credo) anche queste tre essenze chiamate voci si comportano in questo modo, in maniera molto simile, e da ciò deriva l’idea che l’essere volutamente insondabili sia il fondamento del loro essere in quanto atti astratti, il tratto distintivo del loro modo di agire e la garanzia della loro forza e della loro invisibilità.

Il nocciolo della sostanza di questi tre enti é nientemeno che una forma caotica, essa ha valore programmatico e unifica tutti gli atti compiuti dalle tre voci sotto lo scopo di mantenere il disordine, di non permettere al soggetto di avere conoscenza del fatto dal quale è sorta l’esistenza di questi tre spettri (un fatto di cui si dovrebbe avere un ricordo, come di un sogno); le loro frasi, i loro sussurri e le loro risatine non possono che essere prive di senso nella maggior parte dei casi, e hanno lo stesso effetto delle grida e degli strazianti sermoni delle anime in pena di tre sofisti (e ve n’è una che si mostra decisamente poco ciarliera e non propensa al dialogo), anzi una di queste tre voci vive proprio nel segno dell’ombra, la terza voce: la voce sconosciuta.

Forse potrei essermi lasciato andare a lacunose congetture, tuttavia ritengo che si possa pervenire ad una conclusione, momentanea e precaria, quindi non una conclusione, bensì un punto d’inizio. 

L’impressione di aver sentito tre voci distinte o anche solo un vociare confuso ed irripetibile potrebbe essere un atto che la mia mente compie a mio danno e a mio rischio.

Potrebbe essere così.

In questi casi si può parlare di una forma di violenza?

Mentre mi lavo i denti sento il cavernoso gorgoglio dello scarico del water, una vecchia auto nera passa a gran velocità lungo la strada che costeggia il palazzo nel quale si trova il mio appartamento e mia madre mi chiama dall’altra stanza. Allora volgo lo sguardo verso la porta del bagno e, come d’incanto, mi sembra di vedere la risposta alla domanda che mi ha assillato sino a quel momento, cammino lungo il corridoio che porta alla cucina e sento le tre voci.

Una di esse afferma di chiamarsi “Credere”: io, frenato dallo stupore e dall’angoscia scaturite da questa rivelazione, cerco di aprire la porta della cucina, ma indugio, perché l’odore del vuoto aleggia su di me: un vuoto simile a quello di cui il morituro può percepire il sentore e non dissimile da quello che accompagna ogni uomo quando si abbandona al sonno.

Mia madre mi guarda e mi parla con dolce voce pacata, quella di una madre che vuole sentire gli sguardi e i sussulti del proprio sangue che né vede né sente da almeno dodici ore (ironicamente parlando), ma io non riesco ad ascoltarla perché la voce “Credere” continua a parlarmi delle altre due, le sue due compagne, ma sposta tutta la propria attenzione su una di queste, come se sapesse che ho percepito quel sentore di morte che precede ed introduce la seconda voce, che ne annuncia la venuta. Dunque la prima voce sa che sono a conoscenza del fatto che la seconda voce é la morte stessa, come sa che ho individuato il tratto essenziale di “Morte”: si manifesta, ma mantiene il silenzio con la stessa virtù di un monaco che vive muto da secoli, e nessuno, dico nessuno, potrebbe immaginare la profondità e la sacralità della devozione di questa voce verso il concetto di silenzio, esattamente come la Morte. 

Mia madre, che donna! Che pazienza, mia madre!

Quando ripenso a quella voce che fischiava parole incomplete o incomprensibili mentre sedevo di fronte a mia madre, che bofonchiava un nome o un riferimento ad un luogo o ad un fatto, il mio pensiero non riesce a discostarsi dalla consapevolezza che la voce “Credere” non ha dato delucidazioni o storie sulla terza voce, neppure un versaccio demoniaco. (…)

Raimondo
(ph: LaCirasa)