Cattivismo

Anselmo ha 68 anni, e stamattina si è svegliato incazzato.

Vive da solo, in un monolocale in periferia. Ha divorziato da sua moglie ormai vent’anni fa, i figli li vede due volte l’anno, se va bene.
Non è infelice, lui non si sente tale. Hai i suoi amici. Ha addirittura una fidanzata. Frequenta quella sezione, lì, sotto casa. Prende una pensione onesta, ha la sua macchina, paga le tasse.
Fino a tre anni fa Anselmo era proprietario di un bar: l’aveva ereditato da suo padre. Suo padre, Giovanni, era del ’12, del MilleNovecentoDodici.
 Uomo alto, capelli corvini, pelle scura. Un uomo del Sud, che come tanti cercarono fortuna al Nord, trovando un lavoro, una famiglia… un futuro insomma.

Anselmo, dicevamo. Questa mattina ha aperto gli occhi incazzato. Da ieri sera ha un pensiero fisso. Uno di quei chiodi che ti si piantano in testa e non li scolli, nemmeno al risveglio.

Due mesi fa, Anselmo si è iscritto a Twitter. In uno di quei suoi momenti di solitudine aveva deciso di seguire il consiglio che l’amico Paride gli diede il giorno dell’apertura della sezione. Non gli ci volle molto per capire, essendo iscritto da tempo a Facebook. Inoltre è sempre stato dedito alla tecnologia, da prima che la tecnologia stessa si sviluppasse davvero. Sul social, a partire da quel momento, Anselmo si è costruito una vera e propria rete di amici con cui scambiare pensieri e chiacchiere. O addirittura innamorarsi, come nel suo caso. E una rete di nemici, su cui sfogare le proprie frustrazioni.

Anselmo non è un uomo cattivo, non lo è mai stato. Ma se c’è una cosa che ricorda perfettamente delle litigate con sua moglie sono le due parole che puntuali, inesorabili, lei le sputava addosso: “Sei anonimo”.

Come una t-shirt.

Anonimo, dotato di nessun pensiero. Come una tartaruga senza il proprio guscio.
Nudo di fronte al mondo.

Ed è proprio per l’anonimato che Anselmo, durante l’iscrizione, su Twitter ha scelto il nickname “Salmone05 #primagliitaliani”. Salmone è l’anagramma di Anselmo, 05 sono le ultime cifre del suo anno di nascita (1950) invertite. L’hashtag lo conoscete.

Oggi, però, Anselmo è incazzato. E’ incazzato perché ieri sera, mentre era online, al caldo del suo monolocale, sotto un suo tweet è apparso un commento che diceva:

ANSELMO, smettila e sii uomo per una volta nella tua vita!”.

Inizialmente, Anselmo ha sentito il cuore in gola.
E’ sbiancato, diventando tutt’uno con la maglia della salute. Qualcuno lo aveva scoperto.
E’ finita: deve eliminare subito il profilo, far sparire tutte le prove. Un suo amico, conosciuto su Twitter, è nei guai con la Polizia Postale… Conosce bene quei meccanismi. Due parole in più, cosa saranno mai, e puff, come per magia, ti tolgono fino all’ultimo centesimo.
Dopo qualche interminabile minuto, accendendo una Marlboro, ha iniziato ad arrovellarsi il cervello. E, tra il terzo e il quarto tiro, l’illuminazione:

Anselmo, stai tranquillo! Hanno solo decifrato l’anagramma!
E poi, quel “sii uomo per una volta nella tua vita”.. è una frase fatta, un insulto di chiunque!
A volte sei tanto stupido Anselmo, ti fai dei problemi per nulla…

Allora, da bianco è diventato di colpo rosso.

Come si permette?! E chi è questo, poi?!

Velocemente il corpo ruota sulla sedia girevole, le mani scattano feline sulla tastiera quando, poco prima di iniziare a scrivere, Anselmo guarda fuori, attraverso la serranda della finestra, proprio di fianco a lui: è giorno. Salmone05 ha twittato per 5, forse 6 ore.

Compulsivamente, se ne rende conto solo quando vede l’alba.
Quindi, forse, è ora di dormire.

Dopo quattro, cinque ore al massimo, Anselmo apre gli occhi, ed è incazzato.
Nemmeno il tempo di accendere la moka ed è subito al pc, pronto per una nuova giornata. E per rispondere a quell’imbecille. Dopo una trentina di tweet minatori, accompagnati da insulti e da un CAPSLOCK onnipresente, Anselmo decide di uscire un po’, di fare finalmente una passeggiata. E’ ormai ora di mangiare.

Di ritorno dal kebabbaro sotto casa, con ancora nel naso l’odore di falafel e cipolla, Anselmo torna al pc. Così, fino a sera, aspettando la risposta di quel farabutto.

Che alla fine arriva, puntualissima, alle 20:00.

Sono sotto casa tua”.

Anselmo si alza per controllare, si affaccia alla finestra, e vede effettivamente qualcuno. Lì, in piedi, di fronte al cancello.

Anselmo va nel panico.

Non sa come agire.

D’istinto decide di prendere con sé la mazza da baseball che Paride gli regalò per il Natale scorso. Scende le scale velocemente, per quanto un uomo della sua età possa andare veloce. Arrivato al piano terra, stringe con la mano destra estremamente sudata la mazza, come a confermarne la presenza. Contemporaneamente mette la mano sinistra sulla maniglia della porta d’ingresso, lentamente, quasi a rallentatore.

Poi, con uno scatto repentino apre la porta e, davanti a lui, inconfondibile, il viso di suo figlio, Giovanni.

Si chiama come il nonno. Ha gli stessi occhi, gli stessi capelli.

Anselmo apre leggermente la bocca, come a voler dire qualcosa, anche se non sa cosa dire, nemmeno lo immagina minimamente. La sua espressione è un miscuglio di stupore e rassegnazione.
Suo figlio aveva visto tutti i suoi commenti, tutti i suoi tweet..
Si vergognava di questo, non poteva fare a meno di abbassare la testa di fronte all’evidenza.

E allora lì, davanti a quel cancello, Giovanni lo guardò dritto negli occhi e cominciò a parlare.

-Ciao pá. Non ci vediamo da tanto.. Lo sai, Ginevra, i bambini, il giornale… Non ho un attimo libero. Comunque sono arrabbiato con te, molto. Sono venuto qui per parlarti. Non di mamma come al solito, e nemmeno delle tue bollette che continuano ad arrivare a casa mia, ma di te.
Sì, di te.
Come avrai capito, sono io l’autore di quei tweet. Non mi ci è voluto molto per capire che fossi tu: “Salmone05“ era il tuo nickname storico, anche quando giocavamo insieme a Metal Gear Solid sulla Play Station 1, a casa di nonna.
Ma, devo essere sincero, a stento ti ho riconosciuto.
Non pensavo, e non avrei mai pensato, fossi capace di questi pensieri, papà. Nelle tue parole c’è l’odio sviscerato che ti porti dietro da anni.
Non è cattiveria, questo io lo so. Ma le persone che insulti quotidianamente non possono saperlo. Non lo immaginano nemmeno.
Ti vedono come un cane rabbioso, uno dei tanti. Un cane rabbioso al servizio del potere. Ed in cambio, poi, non ricevi nulla.
Ecco, sono venuto qui per parlarti di questo. Io ti vedo, vedo tutto quello che fai, tutto quello che scrivi.
Ora, guardati papà. Hai sessantotto anni, sei solo. Sbraiti contro chiunque, chiunque sia diverso da te. Riponi in un capro espiatorio le giustificazioni per i fallimenti della tua vita, pilotato da opinioni create per te da qualcun altro. Non hai un pensiero tuo, ripeti a vanvera slogan, e quando perdi scappi, con la coda tra le gambe. Non che la tua vita sia stata mai diversa insomma… Indossi scarpe “americane” fatte in Taiwan. Guardati, alla tua tuta è ancora attaccato un pezzo di kebab del pakistano. Non ti rendi conto di essere allo stesso tempo accusatore e fruitore della stessa cosa. Ti contraddici, e nemmeno lo sai. Tuo padre era un immigrato del Sud, era un terrone, e qualcuno, nonostante gli anni passati, continua a pensarlo di te.
E di me.
Al sangue non si sfugge, e neppure all’odio. In mano stringi un’arma bianca, come se perennemente dovessi difenderti da qualcuno. Passi 10 ore chiuso in casa, gli unici rapporti che hai sono con persone conosciute su Twitter, tra cui la tua “fidanzata”, se così possiamo chiamarla.
L’ho vista lei, sai? Cioè, vista.. Ho visto il suo profilo. Non una foto, né un video, né uno straccio di informazione personale. Per quello che ne sai potrebbe anche essere un uomo, no?
Comunque sia, non sono venuto qui per farti la morale, sei grande, grosso e vaccinato. Ma io so da dove viene quella rabbia, e so anche che tu non sei e non sei mai stato una persona cattiva.
Sei solo frustrato, pá.
Smettila di odiare gli altri perché odi te stesso. Io ti conosco, e anche se tra di noi ci sono stati praticamente solo problemi su problemi, tu sei sempre mio padre. L’odio è lo strumento più facile per approcciare la realtà, ma bisogna andare a fondo, capire i problemi, immedesimarti nell’altro, “nel tuo prossimo”. Ricordi quando mi costringevi ad andare a messa? Non è questo quello che diceva Don Leonardo?
Ora scusami ma devo andare, i bimbi mi aspettano a casa. Sono passato solo per dirti questo.
Se hai bisogno di aiuto, sai dove trovarci. E non è una frase fatta, dico davvero.
Stammi bene, papà.-

Anselmo è annullato, totalmente.
Guarda le spalle di suo figlio lentamente scivolare nel buio della sera.
Appena chiusa la porta alle sue spalle, lascia cadere la mazza da baseball sul pavimento, creando un eco ridondante per tutto il condominio.
Anselmo piange. Piange come non fa da anni.
Sa che tutto ciò che era appena uscito fuori dalla bocca del figlio costituisce nient’altro che la verità.

Di ritorno al suo monolocale, si lascia cadere sul letto, ancora disfatto da questa giornata.
Lentamente, Anselmo cade nelle braccia di Morfeo, con le lacrime non ancora asciutte sul viso.
Domani mattina si alzerà e accenderà il suo PC, creando un nuovo profilo.

Stavolta non lo fregherà nessuno.

Mister O

(ph: T. Supertramp)

One thought on “Cattivismo

  1. Una grande storia “MisterO”che fa riflettere sui rapporti che ogni giorno, ogni ora ogni secondo ogni istante di questa vi vita che viviamo, Anselmo può essere ognuno di noi. Cerchiamo di capire e risolvere i piccoli problemi e magari aiutare qualcuno che ne ha bisogno.

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