SOLIPSIA INCONTRA: “Mediterranea – Saving Humans”

Il 16 Novembre siamo scesi da Solipsia. Abbiamo incontrato due attiviste dell’organizzazione “Mediterranea – Saving humans” per focalizzare l’attenzione sul tema delle migrazioni. Giulia (23 anni) e Alice (24 anni) sono due studentesse che, mosse dalla rabbia, hanno scelto di salire su una nave e di contrastare in prima linea l’indifferenza, ormai fenomeno globale.
 
Chi sei? Cos’è Mediterranea? Cosa ti ha spinto a fare questa esperienza?

Giulia: Sono una studentessa di filosofia e attivista di “YaBasta!“, associazione che fa parte del Labàs e TPO, due spazi sociali bolognesi. Ho iniziato questo progetto per via della frustrazione che sentivo, vedendo come in maniera accelerata le politiche pubbliche si siano inasprite nei confronti del fenomeno migratorio. E’ nato in me il desiderio di mettermi a disposizione in prima persone, materialmente, per questa causa.

 Alice: Sono un’educatrice, lavoro in disabilità e psichiatria, e anch’io sono un’attivista di “Ya Basta!”. “Mediterranea” è una piattaforma creata da varie realtà (tra cui proprio Ya Basta!, oltre che l’ARCI, Sinistra Italiana, la web-radio I Diavoli, ecc.) C’è bisogno di forze differenti che decidano di collaborare insieme, ad esempio a livello economico (Banca Etica, ad esempio, ha co-finanziato l’acquisto di una nave da parte di Mediterranea, ndr) e che possano avere l’obiettivo comune di combattere la deviazione recente delle politiche verso un’inclinazione disumana. Si parla di un movimento, quello delle migrazioni, che da sempre coinvolge l’uomo, di cui l’uomo è composto: le migrazioni continueranno, e sono parte costitutiva di ognuno di noi.  

-Raccontateci la vostra giornata tipo a bordo della nave.

 Alice: Sicuramente vivere giornate in mare è diversissimo rispetto a come un’attivista può vivere la propria giornata a terra. Si deve rimodulare il proprio modus vivendi, perché bisogna apprendere alcune competenze base di un terreno terribilmente pericoloso. Così come i barconi pieni di migranti hanno difficoltà ad affrontare il mare, anche imbarcazioni ben organizzate, devono avere alcune accortezze: noi per primi ci siamo resi conto, in alcuni frangenti, che alcune imbarcazioni della nostra flotta non erano adatte ad affrontare determinate missioni. Le giornate sono sicuramente diversificate in base al clima, la situazione, al mare, e anche al momento che si sta vivendo. Le giornate più lunghe, quelle che richiedono più sforzo, sono quelle in cui si osserva il mare, quando non si ricevono informazioni, ma si è consapevoli di essere in una zona a rischio, quindi è importante stare pronti, poiché ogni segnalazione può significare un nuovo obiettivo.

-In conferenza avete parlato della vostra esperienza, e avete sottolineato la sensazione di vuoto che sentivate una volta giunte in prossimità delle coste libiche.

Giulia: La percezione del “mare vuoto” sicuramente è legata a ciò che vedi. Dopo Lampedusa, inizia questa enorme zona davanti alla Libia non più popolata da pescherecci o altre imbarcazioni, ma da piattaforme petrolifere. Quello è un non-luogo, terra di nessuno. “Mare vuoto” perché in questi anni, attraverso la criminalizzazione delle ONG e di tutte le forme di supporto nel Mediterraneo, il mare è stato svuotato coscientemente. Tuttavia non è veramente vuoto, poiché continua ad essere attraversato da migranti. Il senso di vuoto si avverte perché non c’è più quella comunicazione che dovrebbe esserci a livello di legge tra gli organi competenti al salvataggio, ovvero gli MRCC (Maritime Rescue Coordination Centre, ndr) che coordinano i salvataggi tra tutte le imbarcazioni presenti nella zona. Normalmente, sia l’MRCC Roma, che l’MRCC Malta, dovrebbero diffondere messaggi a tutte le navi in quel raggio: tuttavia, questo non avviene. Parlando con gli attivisti di SeaWatch ed Open Arms, che hanno un’esperienza di anni, è emerso il carattere eccezionale di questo silenzio radio, questa assenza di comunicazioni. Ciò ci fa capire che dietro tutto questo c’è una strategia politica del nostro governo che ha stipulato patti con paesi terzi, come la Libia: strategia reale ed efficace. Nei confronti della Libia c’è una gestione privata, per cui, se anche ci sono comunicazioni (sia l’MRCC maltese che l’MRCC italiana hanno contatti con la “presunta” MRCC libica, non riconosciuta, ma nella prassi sì) in quella zona di competenza, appunto, libica, la segnalazione non viene diramata a tutte le navi presenti, ma semplicemente alla Guardia Costiera Libica, che interviene direttamente senza neanche dare notizia del salvataggio (lo chiamerei più che altro intercettazione, respingimento). Questo episodio risale alla mia ultima missione: abbiamo trascorso due giorni nella zona di competenza libica e, dopo alcuni salvataggi, siamo venuti a conoscenza del ricollocamento in Libia di 300 persone recuperate, a nostra insaputa, nella zona in cui ci trovavamo in quel momento. Comportamento non giustificabile. Quando le barche superano la zona di competenza libica e si avvicinano alle coste europee (Malta o Lampedusa), non vengono fatte comunicazioni puntuali di dove siano le imbarcazioni al segnalamento della loro posizione, ma c’è un vero e proprio rimpallo di informazioni da parte delle MRCC, per non assumersi  responsabilità del salvataggio: questo non è legittimo.

-Qual è il rapporto che Mediterranea ha con le istituzioni italiane? Quale la situazione legislativa in merito?  

Giulia: il rapporto che c’è con le istituzioni in questo momento è palesemente ostruttivo. Noi non cerchiamo il conflitto diretto, ma è obiettivo del Governo impedire il rapporto tra noi e la gestione dei salvataggi. Sappiamo che questo rapporto si è andato costruendo nel tempo, da Frontex in poi, con un’escalation dal 2013 ad oggi. Fino a qualche anno fa, le ONG  effettuavano salvataggi coordinati con la Guardia Costiera italiana, con un’operazione come Mare Nostrum, che tutelava le vite in mare e i salvataggi. Pian piano, questi strumenti sono stati ridotti a mero controllo delle frontiere, e quindi il mare è stato abbandonato dalle istituzioni (anche se non è tutto bianco o nero, poiché continuano ad esserci interventi della Guardia Costiera italiana, come nel caso di Lampedusa). Tuttavia, il processo di criminalizzazione delle ONG è un atto politico volto a delegittimare le autorità, e quindi l’idea che ci sia presenza in mare di soggetti indipendenti.

-Ricordiamo l’infelice citazione di Di Maio in cui si diceva che le ONG fossero i “taxi del mare”. L’opinione pubblica è orientata verso una criminalizzazione di queste organizzazioni. Secondo voi,  perché c’è stato, in Italia in particolare, un accanimento mediatico nei vostri confronti? 

Alice: Sicuramente criminalizzare una ONG, che nel concreto si traduce nell’allontanarla e nell’impedirle di fare il proprio lavoro, è un atto sfruttato dal governo italiano per non dover svelare il proprio intento. L’obiettivo dello Stato Italiano non è tanto salvare persone in mare o creare un sistema d’accoglienza davvero funzionale, perché ci sarebbero i mezzi per farlo: attualmente, l’obiettivo principale è quello di fermarli in partenza, di delegittimarli prima che partano. Si tratta di non voler riformulare il proprio vivere.

-Sicuramente avrete avuto occasione di lavorare insieme a volontari di altre nazionalità. Parlando con loro, in linea di massima, cosa pensano riguardo la gestione dell’immigrazione in Italia?

Giulia: Proprio nell’ultima missione, ho parlato con un ragazzo volontario di SeaWatch e per loro quello che sta succedendo in Italia è estremamente grave, perché si trova ad un livello più alto di estremizzazione di un discorso che, intanto, era già presente col governo precedente e l’ex ministro Minniti. Oggi vediamo la manifestazione estrema di un processo già radicato negli altri governi; ma è soprattutto qualcosa che vediamo a livello globale. Non si tratta solo della gestione nazionale: questo processo sta emergendo in tutto l’Occidente. Inoltre, il pensiero comune di noi volontari è che più degli atti compiuti dai rappresentanti istituzionali, ciò che fa paura è la poca reazione in Italia: si ha la percezione di un paese totalmente assuefatto, incapace di reagire. Mediterranea, in questo, rappresenta un barlume di speranza.

-Qual è il rapporto che avete con le altre ONG? Cosa vi distingue (o accomuna) nel modo di operare?

Alice: Diciamolo, Mediterranea parte da una base fondamentale: noi non siamo e non vogliamo essere una ONG. Ci piace definirci una ANG (azione non governativa). Vogliamo impostare il tutto in una dimensione politica, oltre che pratica: portare “a terra” ciò che viviamo in mare. Tuttavia, questo non significa non collaborare con loro, perché l’obiettivo è avere un’unica flotta, che non sia soltanto la Mare Jonio (nave utilizzata da Mediterranea, ndr), ma di avere al nostro fianco anche i volontari di SeaWatch e l’ASTRAL (nave di Open Arms, ndr).  Abbiamo estremamente bisogno delle loro competenze, in quanto ONG che operano da anni nel Mediterraneo. Sicuramente navigare al loro fianco rappresenta anche restituirgli dignità, poiché gli è di nuovo concesso attraversare le acque del Mediterraneo centrale (la Mar Jonio batte bandiera italiana, ndr).

-Come si può diventare volontari?

Giulia: Chiunque abbia competenze, idee, esperienze da condividere, può scriverci all’indirizzo mail: info@mediterranea.org. Ovviamente, i tempi di risposta non saranno immediati, dato l’elevato numero di richieste, ma stiamo cercando di includere tutti, per continuare quest’esperienza. Bisogna pensare a Mediterranea non come a qualcosa di identitario, come un’organizzazione “calata dall’alto”: Mediterranea ha degli obiettivi, ha delle idee, ma è anche un’associazione estremamente libera e aperta. Stiamo cercando di allargare i nostri orizzonti e trovare nuovi compagni di strada, creare alleanze. Sicuramente è ciò che stiamo facendo a terra, creando momenti di dibattito nelle università e nei luoghi pubblici, in cui spieghiamo il nostro operato e le tematiche a noi correlate; poi chissà, siamo aperti a chiunque abbia delle idee concrete con cui sostenere Mediterranea: largo alla creatività!

-In poche parole, cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Giulia: “la cazzimma” di stare in mare (risate), la voglia di tornarci.

Alice: la consapevolezza che Mediterranea non sia ancora sufficiente. Non siamo arrivati a nessuna conclusione, non si è mosso ancora nulla, se non un risveglio, una voglia di parlare di queste cose.

 

Mister O
(ph: Svario)

 

Link Utili:

https://www.yabastabologna.com/ (sito Yabasta!)

https://sea-watch.org/it/ (sito SeaWatch)

https://mediterranearescue.org/ (sito Mediterranea – Saving Humans)

https://www.proactivaopenarms.org/en (sito Proactiva Open Arms)