Due minuti d’odio

Guardandomi attorno, osservando l’Italia da Nord a Sud ed il suo comportamento comune, faccio appello alla mia coscienza.
Gli occhi sono perenni cineprese sul mondo, riprendiamo quello che c’è attorno a noi, inserendolo nella memoria. Nessuno può sfuggire al condizionamento esterno: la realtà traccia un segno indelebile nella mente. Pensare, criticare e comprendere sono fatti che costruiscono un senso comune, ciò che ci permette di integrarci socialmente. Cresciamo fabbricando domande, risposte e, interagendo con gli altri, cerchiamo di superare la paura della solitudine e dell’ignoto.
Ma cosa stiamo costruendo?

Le città sono suddivise in base al reddito ed alla cittadinanza, i ghetti risultano l’unica soluzione possibile per molti, l’opinione pubblica è soggiogata dalla continua propaganda politica, crollano i ponti di solidarietà ed i bambini imparano la parola “sovranismo.”
A tal riguardo, citando Gianni Ruffini (direttore di Amnesty International Italia), è facile osservare che:

“Alcune forze politiche si sono servite di stereotipi ed incitazioni all’odio per fare propri diffusi sentimenti populisti, identitari e xenofobi, promuovendo la diffusione di un linguaggio incendiario, divisivo, che discrimina anziché promuovere l’uguaglianza, che pensa che minoranze e gruppi vulnerabili siano una minaccia e che i diritti non spettino a tutti”

Si sta definendo un “noi”, beneficiario delle risorse necessarie per vivere, e un “loro”, che comprende tutti gli altri esseri umani esclusi. Le persone emarginate diventano “proibite” ed inserite all’estrema frontiera della società.
Il 13 novembre 2018, a Roma, “loro”, “i clandestini”, “gli irregolari”, sono stati colpiti dalle tanto desiderate ruspe. Alle 7:30 del mattino, in piazzale Maslax, è stato sgomberato il campo che, grazie ai volontari della Baobab Experience, offriva accoglienza ai migranti. Si è trattato dello sgombero numero 22, ed ancora una volta i più poveri sono stati costretti ad andare a vivere per strada e dormire sotto le stelle. Sono circa 150 gli individui che, il 13 novembre, sono stati abbandonati. 150 esseri umani che scappano dalla miseria e, ora, privati anche di qualsiasi aiuto umanitario.
“Ordine e sicurezza. Vogliamo riportare la legalità a Roma” scrive Matteo Salvini, ma lo sgombero è avvenuto senza che ci fosse stato alcun reato o “disordine”. Questo è un esempio di come la classe politica attuale stia generalizzando la sofferenza di tantissime esistenze, strumentalizzando il loro dolore, fino a ricondurre loro nella categoria di “nemico pubblico”, arrivando a definire “complici di barberie” chiunque vada in loro soccorso.

Perché non tutti resistono a questa ondata xenofoba? Perché solo in pochi si accorgono dell’emergenza umanitaria che stiamo vivendo?

Ciò che è legittimo, o giusto, diventa relativo, cambia nel tempo perché la realtà e la società non sono statiche, ma continue costruzioni sociali. La curiosità ci spinge ad affrontare la paura dell’ignoto: tutto ciò che non conosciamo viene pian piano familiarizzato ed assume un identità nel nostro pensiero. In questo modo le culture, le persone, i modi di fare a noi non familiari vengono etichettati ancor prima di diventarlo, tramite categorie a noi conosciute. Diventa facile, così, per una propaganda del terrore, far credere che “tutti i tunisini siano galeotti”. Le parole sono importanti, creano concetti che si trasformano in azioni. Generalizzando quel che osserviamo, eliminiamo dal nostro orizzonte cognitivo tutti i mille particolari che costituiscono gli individui, selezionando una categoria “valida” per tutti i membri di quel “gruppo”. Di conseguenza, è facile intuire come “l’uomo nero”, nell’immaginario comune, sia diventato “pericoloso, emarginato”, ed i centri di accoglienza chiusi perché “complici di aiutarlo.”

Come possiamo fermare questa politica dell’odio?

“Tutto ciò che è necessario fare è persuadere i diversi gruppi o “individui antagonisti” che essi hanno moltissime caratteristiche in comune, che essi sono, infatti, sorprendentemente simili, e avremmo abolito le classificazioni rigide e statiche e gli stereotipi reciproci.”

Iniziamo a distruggere le etichette imposte ad ogni singolo individuo, fermiamo questo presente etnocentrico per favorire un futuro multietnico.
Un futuro in cui ognuno ha il diritto di vivere in qualsiasi luogo, perché tutti cittadini del mondo. Ricordiamoci che le frontiere sono costrutti sociali, da poter abbattere realizzando un sentimento cosmopolita in ognuno di noi.
Vi lascio con la frase del romanzo di Ralph Waldo Ellison, che, nel 1852, scrisse:

“Sono un uomo invisibile. No, non sono un fantasma come quelli che inseguivano Edgar Allan Poe e non sono neanche un ectoplasma di uno dei vostri film hollywoodiani. Sono un uomo di sostanza, di carne e ossa, fibra e liquidi – e si potrebbe dire, addirittura, che ho una mente. Cercate di capire, sono invisibile semplicemente perché le persone si rifiutano di vedermi. Come quelle teste “senza corpo” che qualche volta si vedono alle giostre, è come se fossi stato circondato da duri specchi distorcenti. Quando gli altri si avvicinano vedono solo ciò che mi ricorda, loro stessi, o particelle della loro immaginazione. – Effettivamente, qualunque cosa eccetto me.”

 

McMay

(artwork: Brindisi)

Fonti:

  • Gianni Ruffini, Amnesty International Italia, discorso sul “barometro dell’odiohttps://www.amnesty.it/barometro-odio/
  • Serge Moscovici – “Le rappresentazioni sociali
  • Ralph Waldo Ellison – “Uomo Invisibile”