ANTROPOCENE PT 2. I MIGRANTI AMBIENTALI

2050
l’aria indossa un tailleur nero pece
che come un manto ricopre la luce”.

Come immaginiamo il Mondo tra cinquanta, cento anni?
L’essere umano, in quanto essere reale e concreto, che agisce in un sistema ambientale prima che sociale, sarà pronto a rispondere ai quesiti dell’era dell’antropocene?

In un mio saggio, pubblicato qualche mese fa su Solipsia, intitolato “Antropocene – l’era dell’uomo”, ho cercato di introdurvi in un viaggio alla scoperta dell’antropocene: una nuova epoca, del tutto attuale, in cui i cambiamenti climatici e territoriali sono attribuiti all’essere umano ed alle sua attività.

Nonostante si cerchi di nascondere la questione tramite il solito polverone politico ed economico, alcuni mutamenti odierni ci indicano un futuro più problematico del presente. La temperatura media della Terra, a partire dalla seconda metà del ‘900, sale di 0,2 gradi ogni dieci anni (come sostiene nelle sue ricerche, fra i tanti scienziati impegni nella causa, Andrey Ganopolski del Potsdam Institute for Climate Impact Research). Gli effetti di questo cambiamento sono stati spesso ignorati e/o sottovalutati da molti governi ed istituzioni nazionali e globali, tuttavia gli studi sul global warming e sull’antropocene, diventati echi fastidiosi fin dagli anni Novanta, stanno riemergendo nell’opinione pubblica.

Non si vive il presente senza la possibilità di fantasticare sul futuro.
Fin dall’età infantile, gli esseri umani si proiettano in avanti e, crescendo, ipotizzano e progettano il proprio domani. In questo periodo storico, però, quasi tutti gli adolescenti si immaginano sempre meno “da adulti”, hanno aspettative future basse e si ritrovano senza sogni o speranze. Non a caso, una giovanissima attivista svedese chiamata Greta Thunberg ed il movimento di protesta da lei fondato, denominato Fridays for Future, sono progressivamente diventati, a partire dal 2018, (anno dei primi scioperi), simboli della lotta al cambiamento climatico.  Questo urlo di consapevolezza, a differenza del passato, si fa spazio nei dibattiti pubblici e politici: il 23 settembre la stessa Greta ha partecipato al vertice sul clima delle Nazioni Unite, esplicitando nel suo discorso le paure e le insicurezze della nuova generazione (e non solo).
Greta Thunberg durante il suo intervento al Climate Action Summit 2019 dell’ONU
In che modo l’essere umano incide sull’aumento delle temperature?

La temperatura sul nostro Pianeta è regolata dall’effetto serra naturale: i gas serra nell’atmosfera terrestre, infatti, assorbono, filtrano e riflettono i raggi solari. Questi gas, tra cui la CO2, consentono di trattenere il calore solare e, di conseguenza, di equilibrare la temperatura della Terra. Tuttavia, l’Homo sapiens sapiens, attraverso le sue attività industriali (tra cui, specialmente, quelle di allevamento ed agricoltura intensive), sta immettendo nell’atmosfera ulteriori quantità di gas (tra cui l’anidride carbonica), rafforzando l’effetto serra naturale. Ciò comporta un innalzamento delle temperature, provocando desertificazione nelle regioni tropicali, scioglimento dei ghiacci polari e, più in generale, cambiamenti ambientali nelle diverse zone climatiche.
Inoltre, a metà degli anni Settanta, nella comunità scientifica si inizia a parlare di buco dell’ozono.
Per intenderci: l’ozono è un gas (precisamente una forma allotropica dell’ossigeno) presente negli strati alti dell’atmosfera, costituendo la cosiddetta Ozonosfera. Formatasi in milioni di anni, quest’ultima è fondamentale per l’assorbimento delle radiazioni solari ultraviolette. Questa fascia protettiva, che si espande fino alla stratosfera, nel tempo si sta sempre più assottigliando, a causa del rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti ed in particolare di prodotti chimici industriali (i Cfc), contenenti cloro, carbonio e fluoro.
L’evoluzione dell’ozonosfera ha permesso alla fauna marina di spostarsi e conquistare anche le terre emerse. In condizioni diverse, soltanto alcuni esseri viventi (in particolar modo gli insetti) potrebbero resistere alla continua esposizione dei raggi ultravioletti. Prima dell’avvento industriale, le variazioni naturali avvenute allo strato dell’ozono sono state molto lente, consentendo alle specie viventi di adattarsi ed evolversi, a differenza della recente variazione antropica, decisamente più celere.
Nel 2018 il New York Times ha dichiarato che dal 2014 al 2016 le emissioni di Cfc sono addirittura aumentate, nonostante queste sostanze chimiche siano state bandite dal protocollo internazionale di Montreal già nel 1987.
Un grafico, che rileva lo studio del 2013 di quattro centri di ricerca, rappresenta la variazione della temperatura dal 1880 al 2000, dimostrando che gli ultimi anni sono difatti i più caldi.

Di seguito, i quattro centri di ricerca presi in considerazione: GISSNational Climatic Data Center del NOAA, Met Office Hadley Centre, l’Agenzia meteorologica giapponese.

Il clima non è stabile, ma in passato il suo modificarsi era dovuto esclusivamente a cause naturali e non ad attività antropiche. L’essere umano, dopo tutto, non è mai stato avulso dai fattori climatici, anzi, fin dai primi insediamenti ne è dipendente per la sopravvivenza.

“Ma c’è nella terra molto fuoco e molto calore ed il Sole non solo attrae l’umidità della superficie della terra, ma asciuga anche la stessa terra con il suo calore”.

(Aristotele, La Meteorologica, 340 a.C)

Gli Stati protagonisti dell’effetto serra antropico risultano, ovviamente, quelli industrializzati. Le Nazioni Unite fondarono già nel 1988 una Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico (IPCC), che, da allora, monitora le variazioni del clima. Nel 1990 si tenne la seconda Conferenza mondiale sul Clima di tutti i paesi dell’ONU, cercando di costruire un ponte tra i nuovi studi scientifici della commissione incaricata e le decisioni dei leader politici. Le ricerche di questa commissione rientrano tutt’ora nella base di accordi internazionali, ed il primo rapporto del 1990 (FAR) spiegava che le emissioni di CO2 derivate dalle attività umane stavano alterando l’effetto serra naturale, causando un ulteriore riscaldamento globale. Le varie pubblicazioni periodiche, negli anni, hanno continuato a confermare le analisi precedenti, diventando la base per il Protocollo di Kyoto: un trattato internazionale redatto nel 1997, in occasione della Conferenza delle Parti COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, entrato in vigore nel 2005 con la ratifica della Russia.
Uno degli obiettivi più importanti di questo protocollo è di regolare e diminuire le emissioni di anidride carbonica nei Paesi firmatari, anche se colossi nazionali industriali come gli Stati Uniti d’America non lo ratificarono.
Nonostante l’effetto serra antropico sia quindi, da tempo, inserito al centro di alcuni dibattiti scientifici e politici, tra il 2000 e il 2010 le emissioni sono aumentate del 2,2% annuo, a differenza dello 0,4% tra il 1970 e il 2000, come ci dimostra l’AR5, cioè il quinto rapporto dell’IPCC.
Il modo in cui la società contemporanea attua il proprio modello di vita sta distruggendo l’equilibrio tra cibo, suolo e risorse, il Mondo conosciuto fino ad ora si sta velocemente trasformando.
Uno dei disastri ambientali recenti è stato l’incendio iniziato il 20 agosto 2019 nella Foresta Amazzonica, che ha causato distruzione e danni irreversibili al “polmone verde del mondo”, oltre ad aver causato ulteriori emissioni pesanti di CO2 nell’atmosfera.
Il riscaldamento globale genera infatti inondazioni, siccità e incendi. Tali conseguenze, inizialmente, coinvolgeranno in maggior modo la zona torrida del Globo terrestre, determinando migrazioni (umane e non) verso i paesi con zone climatiche temperate.

Fasce climatiche del globo terrestre

Un rapporto della Banca Mondiale pubblicato nel 2018, stima entro il 2050 una spinta migratoria verso aree urbane sempre più sovrappopolate: lo studio è stato condotto sulle regioni Sub-sahariane, sull’America Latina e sull’Asia del Sud: queste zone, infatti, nei prossimi anni potranno essere colpite da desertificazione o frequenti fenomeni meteorologici intensi. Secondo la ricerca, il numero di migranti climatici, entro il 2050, salirebbe intorno ai 143 milioni, procurando una grave ripercussione sociale ed economica. Una delle poche possibilità di evitare un numero così elevato di rifugiati ambientali sarebbe la riconversione totale delle modalità di produzione, improntata alla diminuzione drastica del numero di emissioni. Le Nazioni delle zone temperate saranno quindi in grado di accogliere, oltre ai migranti economici e/o di guerra (questione già oggi fulcro di discordie politiche e sociali), le masse che fuggiranno dai cambiamenti climatici?

“Il problema del rapporto fra rapido accrescimento della popolazione e risorse naturali, stabilità sociale e benessere dei singoli, è oggi il maggior problema per l’umanità; resterà tale per un altro secolo, forse per alcuni secoli a venire. Si dice che il 4 ottobre 1957 è cominciata un’era nuova. Ma in realtà, se pensiamo a quanto ora si è detto, tutti i nostri discorsi di esultanza, dopo lo Sputnik, suonano fatui, forse assurdi. Per ciò che riguarda le masse della umanità, quella a venire non sarà l’Era spaziale; sarà l’Era della sovrappopolazione”.

(Aldous Huxley, Ritorno al mondo nuovo, 1958)

La retorica sovranista dei “porti chiusi” si infrange sempre più con le enormi emergenze umanitarie e, soprattutto, con uomini che sono costretti a scappare per la sopravvivenza.
Ad esempio, il 90% dei migranti che arrivano in Italia provengono dalla fascia africana del Sahel, non a caso una zona colpita da forti variazioni climatiche recenti.
A quantificare questo flusso è stato lo studio dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia), pubblicato sulla rivista “Environmental Research Communications”. Gli studiosi si sono focalizzati nel periodo 1995-2009, escludendo periodi intensi di conflitti sociali (come, ad esempio, le Primavere Arabe), dimostrando che la variabile temperatura incide principalmente sull’agricoltura, producendo carestie e raccolti scarsi, forzando le persone ad emigrare.
Anche i paesi industrializzati, a loro volta, stanno affrontando già problemi legati alla sopravvivenza: ad esempio, la presenza sempre maggiore di acqua contaminata e non potabile.

La natura, gli esseri viventi, sono in continua evoluzione, ma cambiamenti avvenuti in miliardi di anni si stanno sostituendo a modifiche incisive e veloci. L’uomo contemporaneo è figlio del Secolo breve, del XX secolo e della tecnica, abituato a vivere tra rivoluzioni e crisi, pronto a mettere in discussione la realtà.
Tuttavia, sarà in grado di affrontare un futuro in cui l’eccessiva produzione sarà surrogata con tempi di carestie e povertà?
E’ utile ricordare alle generazioni presenti ed a quelle future che, per risolvere problemi interconnessi come il riscaldamento globale, sarà necessario abbattere confini e muri sociali per saper fronteggiare le contemporanee dinamiche globali.

McMay
(ph: Pio)