Antropocene – L’Era dell’Uomo

«Immaginiamo che il peggio sia accaduto. L’estinzione degli umani è un fatto compiuto. Immaginiamo un mondo in cui tutti noi, e solo noi, scompariamo all’improvviso. Domani. Lasceremmo qualche impalpabile, ma durevole, marchio sull’universo? Invece di emettere un enorme sospiro di sollievo biologico, forse il mondo senza di noi sentirebbe la nostra mancanza?»
Alan Weisman

Dovremmo iniziare ad immaginare un futuro nella quale l’essere umano non sia più incluso sulla Terra?
Per molto tempo la natura è stata considerata un principio immutabile: tutto ciò che è stato centrale nella formazione della cultura e società è stato il rapporto uomo-uomo. Influenzati dalla concezione che l’individuo possa conoscere unicamente la storia (perché prodotta da lui), il mondo fisico era escluso da una conoscenza completa, in quanto creazione di “Dio.”
Le azioni antropiche erano percepite all’interno di un cosmo naturale, ma non considerate capaci di influenzarlo. Lo stato di natura era, ormai, un racconto simile ad un paradiso terrestre in cui gli esseri umani vivevano, ancora, in armonia con il resto.

Rousseau – filosofo svizzero – affermava che l’uomo, in natura, era un “buon selvaggio”. In lui prevaleva la pietas e l amor di sé e, quindi, era tendente alla perfettibilità per cercare di migliorare la propria condizione.
Tuttavia, più perfezionava le sue tecniche, più l’essere umano si costituiva in comunità, più la popolazione aumentava. Uscendo da uno stato di natura, privo di leggi, si costruirono le società come prodotto artificiale. L’essere umano era dunque padrone di se stesso e del suo nuovo mondo artificiale, separato dalla natura.

Lèvi-Strauss – antropologo francese – individuò nel neolitico (l’ultimo dei tre periodi che costituiscono l’Età della pietra) una “rivoluzione”, perché le civiltà umane iniziarono le grandi tecniche di allevamento, agricoltura e produzione artigianale. Ma, come rilevò l’antropologo stesso: “millenni di ristagni si sono frapposti come una piattaforma fra la rivoluzione neolitica e le scienza contemporanea.”
La riposta per Lèvi-Strauss risiede nell’esistenza di due forme di pensiero scientifico: una primitiva, chiamata “pensiero selvaggio”, diffusa principalmente nei saperi neolitici (una modalità intellettuale che opera attraverso la materia di cui dispone) ed una avanzata, diffusa nei “saperi moderni”, tale da permetterci di inventare e superare le limitazioni o disponibilità di una civiltà.

In ogni caso, ogni scoperta derivante da queste forme di conoscenza diede il via all’era dell’uomo: l’epoca in cui gli esseri umani sono capaci di modificare i cicli ecologici della totalità delle specie naturali.
Il neolitico rientrava nel periodo di stabilizzazione climatica chiamata “Olocene.” L’olocene è il periodo in cui ci troviamo tutt’ora, ma l’eventualità di un cambiamento climatico per cause umane, ha fatto sorgere la questione sulla sua fine.

Come siamo arrivati all’inizio della fine?

Il 1750, (in corrispondenza della prima rivoluzione industriale), costituisce l’anno in cui l’uomo passa da un sistema produttivo artigianale, ad un sistema industriale basato sulla macchina. Questa rivoluzione comporta uso di combustibili fossili, anziché rinnovabili. Il cambiamento si ripercuote ancora oggi sull’attuale modo di produzione. Questa tendenza, iniziata in Inghilterra, investirà tutto il mondo, generando uno stile di vita industrializzato. I paesi, ora come allora, convergono verso una vita e una tecnologia simile per competere nelle reti di scambio transnazionali. La società moderna, contraddistinta dal perseguimento dell’interesse individuale, è ormai secolarizzata e verte verso l’acquisizione di diritti sempre maggiori.
Quello che va dalla fine del XVIII secolo al 1950 fu un periodo caratterizzato da un’espansione commerciale, economica e demografica, ma anche dalla rivoluzione americana e francese, dal colonialismo, dai totalitarismi e dalle due grandi guerre. “I millenni di ristagno” son stati sostituiti da un periodo “accelerato”, definito “secolo breve”La libertà moderna è stata costruita sul palazzo del consumo sempre più massivo e, quindi, da un uso massiccio del combustibile fossile.

Karl Polanyi – sociologo ed economista ungherese- scriveva nel suo saggio “La grande trasformazione” che la crescita della ricchezza è pagata a prezzo di un enorme aumento della degradazione umana. La degradazione deriva dal “lato selvaggio del liberismo”, dallo sfruttamento dell’uomo e della natura.
Separando il lavoro da “tutte le forme organiche di esistenza e sostituendole con un tipo diverso di organizzazione, atomistico e individualistico”, l’uomo determina e controlla l’ambiente diventando un agente geologico, cioè che agisce in maniera incisiva sul pianeta.

Il biologo statunitense Stermer coniò infatti, negli anni ottanta, il termine antropocene (letteralmente “l’epoca dell’uomo”) – ripreso dal premio nobel per la chimica Paul Crutzen – per indicare l’epoca geologica nella quale i cambiamenti climatici e territoriali, sono attribuiti alle attività dell’essere umano.

“L’Antropocene, una etichetta ancora non condivisa da tutta la comunità scientifica, seguirebbe l’Olocene: 11.700 anni di relativa stabilità ambientale, dalla fine dell’ultima era glaciale. I veloci cambiamenti imposti dall’uomo alla superficie della Terra, all’ambiente nel suo insieme, stanno cambiando i tempi con cui avvengono fenomeni geologici quali l’erosione e la sedimentazione, mentre importanti “perturbazioni” a livello chimico su larga scala hanno alterato i cicli del carbonio, dell’azoto, del fosforo e di altri elementi… Oltre all’alterazione del ciclo climatico e ai cambiamenti dei biosistemi del pianeta.”
(Focus – “Antropocene: l’uomo agisce sulla storia della Terra”)

Forse non accettiamo il fatto che siamo responsabili delle sorti della Terra, nonostante le prove siano abbastanza evidenti. Sarà probabilmente giusto attribuire le cause dell’antropocene alle pratiche dello sviluppo capitalista, ma adesso è una condizione che riguarda gli esseri umani, intesi come specie. Il problema e la soluzione sono diventati unicamente globali.

Il segno ulteriore di questa nuova era geologica risiede nell’osservazione delle rocce.
Come dichiara Gwynne Dyer su un articolo della rivista Internazionale del 06 settembre 2016:

“La prova del nove per definire un’era geologica è chiedersi se esistano chiare differenze nel modo in cui si formano le rocce. Nel nostro caso è facile. Negli anni cinquanta gli elementi radioattivi (radionuclidi) provenienti dalle centinaia di test atomici svolti nell’atmosfera hanno cominciato ad apparire nei sedimenti in tutto il mondo. Ancor più onnipresenti sono i piccoli frammenti di plastica, le particelle di alluminio e di cemento e le minuscole palline di carbone non bruciato che escono nelle nostre centrali elettriche, che vanno a finire nei fanghi che un giorno diventeranno rocce. La razza umana potrebbe anche estinguersi, ma abbiamo già lasciato una traccia indelebile della nostra esistenza nelle rocce”.

Le conferenze delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano, dal 1972 all’ultima del 2018, non sembrano aver rispettato gli obiettivi sulla tutela dell’ambiente. Anzi, l’ultimo rapporto delle nazioni unite rivela che le attività umane abbiano provocato l’aumento di 1° C superiore alla media, e velocemente, stiamo arrivando verso il superamento della soglia di 1,5° C di riscaldamento (sopra i 2°C si arriva alla soglia del non ritorno.) Solo se i paesi attuassero rapidamente azioni globali, a partire dalla riduzione dei combustibili fossili, potremmo fermare questo cosiddetto global warming.
Alcuni degli effetti già evidenti sul pianeta sono l’aumento delle temperature medie degli oceani, le probabilità di siccità o le forti precipitazioni in diverse regioni. Nonostante le evidenze, tuttavia, non tutti ne ammettono le correlazioni: mentre, in questi giorni, un’ondata di gelo investe il Midwest degli Stati Uniti e la temperatura è scesa fino a -30 sotto lo zero, Donald Trump ha ironizzato sui cambiamenti climatici, chiedendosi cosa stia succedendo al global warming e “pregando il riscaldamento globale di tornare presto”.
Evidentemente l’argomento sul cambiamento climatico non è ritenuto importante, o si cerca di nasconderlo.

Come dichiara il dossier della Union Of Concerned Scientists (UCS) “The Climate Deception” del 2015, le maggiori compagnie petrolifere internazionali (tra cui Exxon, Chevron e BP), usano una serie di strategie per negare l’esistenza del cambiamento climatico. Si tratta di investimenti per riuscire ad infiltrarsi nell’opinione pubblica, nelle decisioni politiche e scientifiche. Appare evidente il caso di Wei-Hock Soon, astrofisico e ricercatore al Solar and Stellar Physics (SSP), sostenitore che il cambiamento climatico non abbia origine umana.
Come rivelato da Greenpeace e dal Climate Investigations Center nel 2015, la sua ricerca, in realtà, era stata finanziata da ExxonMobil (la quarta compagnia petrolifera al mondo), che gli aveva donato 1,2 milioni di dollari.

A cosa servirà questo accumulo di denaro quando sarà superata la soglia dei 2° C sopra la media e la Terra diventerà ostile per la vita umana?

La progettazione verso un futuro all’insegna dell’energia sostenibile comunque non si arresta.
Ad esempio, la notte del 31 gennaio 2019, Elon Musk – imprenditore e inventore sudafricano – tramite un post sui social, ha rilasciato i brevetti della Tesla (la celebre casa automobilistica di sua proprietà, specializzata nella produzione di auto elettriche all’avanguardia) scrivendo:

“La nostra vera concorrenza non è rappresentata dalle auto elettriche non prodotte da Tesla, ma dell’enorme inondazione di benzina per auto che esce dalle fabbriche del mondo ogni giorno”.

Musk è inoltre cofondatore di “SpaceX”, l’azienda leader nello sviluppo e produzione di razzi e veicoli spaziali, attualmente impegnata nell’obiettivo di costruire una città autosufficiente su Marte.
Sarà forse la creazione di colonie fuori dal pianeta Terra l’unica soluzione per la sopravvivenza della specie umana?

Viviamo, ormai, in una società dove il futuro è incerto e pieno di pericoli nuovi, come ci ricorda Urlich Beck – sociologo e scrittore tedesco nella sua tesi principale sulla “società del rischio”. A differenza della società “classista”, ovvero quella tradizionale, la società mondiale del rischio induce la formulazione di risposte globali a problematiche catastrofiche come il degrado del pianeta.
Inoltre Giddens – collega inglese di Beck – traccia una differenza tra il rischio moderno e contemporaneo, ormai prodotto dalle attività umane come conseguenza dei processi della modernità.

Una delle conseguenze è il superamento dell’Olocene che, corrisponde all’estinzione, sempre maggiore, di altre forme di vita sul pianeta. L’essere umano è spettatore e contemporaneamente artefice della sesta estinzione di massa. La comunità scientifica ha dichiarato che tra pochi decenni il 75% delle specie viventi scomparirà dalla Terra.

“Secondo le previsioni di Daniel Rothman – geofisico del Mit di Boston che ha comparato il ciclo del carbonio nei periodi in cui sono avvenute le altre estinzioni di massa – già da qualche anno è in atto un aumento dei valori tale da innescare il processo di estinzione, che entro il 2100 raggiungerà il suo apice e impiegherà circa diecimila anni per trovare un nuovo equilibrio.”(Wired.it – “Che cos’è la sesta estinzione di massa e perché dovrebbe preoccuparci”)

A causare l’anomalo aumento della concentrazione di carbonio è, ovviamente, l’essere umano.
Il Wwf, in una sua recente pubblicazione, ci pone sotto gli occhi un aspetto in particolare: negli ultimi 40 anni, l’essere umano ha spazzato via oltre il 60% delle altre creature viventi, di pari passo con l’aumento della concentrazione di Co2.
E’ la più grande crisi della biodiversità mai registrata dalla comparsa dell’uomo sul pianeta: come riportato da Science Advance, ogni anno scompaiono tremila specie, tre ogni ora, con un tasso di estinzione cento volte più elevato del normale.

Come immaginiamo il Mondo tra cinquanta, cento anni?
L’essere umano, in quanto essere reale e concreto, che agisce in un sistema ambientale prima che sociale, sarà pronto a rispondere ai quesiti dell’era dell’antropocene?
Sarà in grado, quindi, di fronteggiare i rischi causati dalle sue stesse azioni o continuerà ad agire come dei virus infestanti in un sistema?

“In nome del progresso, l’uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido e velenoso (e questa è “tutt’altro che” un’immagine simbolica). Sta inquinando l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali… e se stesso, al punto che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio d’anni, sarà ancora possibile vivere sulla terra.”

Erich Fromm

Da Solipsia non ci resta che continuare a fluttuare sui tumulti, sulle contraddizioni, sulle decisioni e le conseguenze del nostro tempo. Per raccontarle a voi, spettatori del presente, ma anche per i futuri.
Questo è il nostro segno indelebile, che intendiamo lasciare alla storia.

Mcmay
(ph: LaCirasa)

 

Bibliografia di riferimento:
Alan WeismanThe world without us2007
Jean-Jacques RousseauDiscorso sull’ineguaglianza1755
Lèvi-StraussIl pensiero selvaggio1962
Karl PolanyiLa grande trasformazione1944
Erich FrommAnatomia della distruttività umana1973