Solipsia Whispers: “La grande illusione – Jean Renoir”

Qui su Solipsia sono stati tempi frenetici, ma felici.
Nel tumulto degli impegni di questi giorni, improvvisamente, ho provato una sorta di nostalgia, quasi saudade, come se per costruire il futuro avessi bisogno del passato. Sono andato quindi a ripulire lo scaffale più impolverato della mia mente, ritrovando una pellicola tra le più belle e significative del secolo scorso.

La grande illusione” è un film del 1937, diretto dal regista francese Jean Renoir. Parla dei fatti accorsi durante la prima guerra mondiale e, in particolare, della prigionia dei francesi all’interno delle strutture militari tedesche.
C’è un elemento che maggiormente attira l’attenzione di questa pellicola: è la scelta di non parlare direttamente della guerra, nonostante il film stesso sia un film “di guerra“. O meglio: se ne parla da una prospettiva diversa. Non ci sono armi o ostilità tra i due popoli, bensì un senso di fratellanza e una linea comune che porta le due fazioni ad essere simili in quanto esseri umani e ad accantonare le differenze geografiche e politiche. La storia, priva di un vero protagonista perché basata su un racconto collettivo, riprende da una parte i francesi prigionieri che tentano di evadere, e dall’altra i tedeschi che li reprimono. Tuttavia, l’intera pellicola è pervasa da un afflato “pacifista”, (quanto meno di riflessione), in cui sia gli uni che gli altri sembrano agire per inerzia, seguendo compiti predeterminati di cui non sono convinti: è come se, durante tutto il film, i componenti di entrambi gli schieramenti si domandino: «Qual è il senso di tutto ciò?»

La narrazione in sé, comunque, segue la prospettiva dei soldati francesi che, detenuti in condizioni barbare, sentono il bisogno di aggrapparsi alla speranza. Quella dell’evasione ovviamente, ma anche quella del gioco. Il film di Renoir, infatti, più che un film di guerra lo definirei semplicemente drammatico, ma di una drammaticità grottesca e parodica. I prigionieri prendono in giro continuamente gli ufficiali e la loro ironia assume risvolti provocatori, contro la guerra. Essi, inoltre, sono contraddistinti da un ostinato ottimismo, che sembra stridere con la realtà tragica con la quale si confrontano, ma che probabilmente è anche l’unico sistema per continuare a coltivare la suddetta speranza. Il risvolto pratico di questo atteggiamento si traduce in una messa in ridicolo del potere tedesco, che viene completamente svuotato di senso. Proseguendo nella trama, saranno gli stessi ufficiali tedeschi a familiarizzare con i soldati francesi, nonostante la prigionia.

La morale pacifista ed antimilitarista che pervade l’intera pellicola raggiunge l’apice nella messa in discussione della guerra, vista come frutto dell’artificialità umana e non come volontà della natura.
Lo stesso concetto di “confine” viene messo in discussione, riprendendo una visione globale umana tanto semplice ed istintiva quanto nobile ed utopica.

-Ma sei sicuro che sia la Svizzera laggiù? A me sembra tutto uguale qui.-
-Le frontiere non si vedono mica, sono un’invenzione dell’uomo. La natura se ne fotte!-.

 

Il capolavoro di Renoir ebbe numerose ritorsioni dal punto di vista politico, com’è facilmente intuibile se si pensa alla data di uscita. Per girare un film del genere, alle soglie della seconda guerra mondiale, occorrevano sicuramente coraggio e fortuna. Coraggio che infatti non mancava al regista francese, che non temeva di certo censure o repressioni. La fortuna però non gli sorrideva, almeno in un primo momento. Renoir racconta:

«La storia dei traffici che ho dovuto affrontare per trovare i finanziamenti per La grande illusione potrebbero diventare il soggetto di un film. Mi sono portato dietro il manoscritto per tre anni, visitando gli uffici di tutti i produttori, francesi o stranieri, convenzionali o d’avanguardia.».

Solo 3 anni dopo la sua ultimazione, infatti, il regista riuscirà a trovare i mezzi monetari per la pubblicazione del film grazie all’intercessione di Jean Gabin, famoso attore francese, che, con la sua presenza nel film fra gli interpreti di primo piano, dette fiducia ai finanziatori.

All’uscita, nel 1937, il film venne proibito sia in Italia che in Germania,oltre che, ovviamente, in tutti i Paesi di dominazione tedesca.
In particolare, in Italia, la Direzione nazionale per il cinema (diretta all’epoca da Luigi Freddi, fascista convinto, nonché amico di Mussolini) decise di bloccare la circolazione della pellicola, in quanto “non conforme” per i giovani italiani del regime (chiaramente a causa degli ideali pacifisti e antimilitaristi).
Ebbe ovviamente un certo peso nella questione anche l’appartenenza di Renoir al Partito Comunista francese, ma più di tutto Freddi temeva la pregevole fattura della pellicola, che da sola avrebbe potuto mutare l’opinione degli italiani riguardo la guerra ormai imminente.

Per capire quanto questo film facesse paura al fascismo, al nazismo e a tutte i poteri autoritari derivati da quel periodo, basti pensare che la versione completa fu proiettata su scala internazionale solamente nel 1958, quando lo stesso regista ebbe l’opportunità di ricostruirla grazie ad un negativo ritrovato a Monaco dagli americani. Renoir stesso raccontò:

«Per caso, il giorno in cui i nazisti entrarono a Vienna, nelle sale distribuivano il mio film. Senza perdere un istante, la Polizia lo proibì e si interruppero immediatamente le proiezioni. È una storia che mi riempie d’orgoglio.» 

Tutt’oggi, tuttavia, la guerra continua a distruggere la vita di migliaia di persone in tutto il mondo, in nome del potere politico e dell’odio razziale tra popoli diversi. La “grande illusione” di Renoir non si è mai realizzata, ma è la speranza attorno alla quale la nostra generazione deve sentirsi in dovere di cambiare le cose. Solipsia stessa vuole essere, più che una grande illusione di pace e serenità, una realtà che si ribella all’atto bellico in ogni sua forma, che crede fortemente che il mondo vada cambiato con le idee, con i pensieri, con l’arte, e non con le pistole.

T. Supertramp