Distruggere il muro, dipingendolo

Era il 13 agosto 1961. Un enorme muro fu innalzato a Berlino per impedire la libera circolazione tra Berlino Est e Berlino Ovest. Ennesimo muro costruito nel corso della storia per dividere e, contemporaneamente, isolare due popolazioni con ideologie politiche differenti. Tuttavia, la cosa straordinaria che ho intenzione di sottolineare in questo saggio non è tanto la volontà di dividere, escludere ed isolare attraverso la costruzione di muri (caratteristica di molte politiche anche contemporanee), quanto piuttosto la voglia di superare queste limitazioni, poste dall’alto, attraverso l’arte.

Non è un caso infatti che, a pochi anni dalla sua costruzione, il muro di Berlino divenne una gigantesca “tela” a cielo aperto lunga svariati chilometri (attirando una costante moltitudine di street-artists), al punto che, nel 1986, il Mauermuseum decise di rivolgersi a uno dei più grandi artisti e writer del momento, commissionando la realizzazione di un graffito su una porzione del muro lunga circa 300 metri. L’artista era Keith Haring, che accettò la proposta e si recò a Berlino proprio in quell’anno.
Gli assistenti dell’artista ricoprirono la porzione di muro da dipingere con una tinta gialla ed il giorno dopo Haring completò l’opera, impiegandoci appena sei ore. L’artista era consapevole che quel muro rappresentava un ostacolo alla libertà ma, come cantavano Pink Floyd, «ci sarà sempre qualcuno disposto a sbattere il proprio cuore contro il muro» (“banging your hearth agaist the wall”, nella canzone “Outside the wall”, dal disco “The Wall”), qualcuno pronto a lottare per distruggere quelle divisioni non solo fisiche, ma anche mentali che separano gli individui tra di loro. L’intento di Keith Haring, infatti, fu proprio quello di «distruggere il muro, dipingendolo», come egli stesso dichiarò.
La grande opera di Haring ebbe effettivamente l’obiettivo di veicolare un messaggio di unione e concordia tra i popoli della Germani Est e della Germania Ovest. Sulla grande base gialla, infatti, dipinse una lunga catena di figure umane, realizzate con il rosso e con il nero, congiunte attraverso l’unione di mani e piedi. La scelta dei colori non fu casuale, così che il murale, una volta finito, risultò composto dai tre colori della bandiera tedesca: giallo, rosso e nero.
Il suo stile è ovviamente inconfondibile: unendo la sinteticità del disegno infantile con l’immediatezza del fumetto, riesce a comunicare le emozioni associate all’immagine, trascurando tutti i dati accessori. Le figure, infatti, diventano estremamente stilizzate, fino a raggiungere il loro archetipo. Si trattò di un messaggio privo di qualsiasi provocazione: solo l’auspicio di poter vedere un giorno i due popoli riuniti.

Foto di: © Tseng Kwong Chi“Keith Haring painting a mural on The Berlin Wall. October 23, 1986”

Tuttavia, il giorno successivo alla sua realizzazione (27 ottobre 1986), furono coperte ampie parti dell’opera con strati di vernice grigia: si trattò probabilmente di un segno di protesta e di disprezzo verso un artista statunitense (la guerra fredda non era ancora finita). Haring era tuttavia consapevole della fine che avrebbe fatto il suo dipinto. Fu lui stesso, infatti, ad affermare che la sua arte era pensata per essere temporanea e non permanente. E’ il destino del graffitismo: immagini forti, enormi, con un messaggio che, meglio di qualsiasi altro mezzo di comunicazione, risulta immediato e sconvolgente.

Se gli anni Ottanta furono gli anni di Keith Haring, nei Novanta il testimone fu raccolto da Banksy. A differenza di Haring, tuttavia, che quasi immediatamente smise di operare in maniera illegale, Banksy ha fatto della clandestinità una delle sue caratteristiche principali. La sua finalità artistica, infatti, è una continua e sempre diversa guerra culturale e sociale. La sua arte, mai banale, si pone in antitesi con la società contemporanea e con i meccanismi di potere che la dominano. Banksy non si arrende alla disuguaglianza, alle ingiustizie e all’aridità, ma, attraverso un messaggio sempre nuovo, cerca di ridisegnare la fisionomia del contesto nel quale vive. Non è un caso che l’artista non abbia mai reso note le sue generalità fatta eccezione per la provenienza (Bristol). La sua arte è pensata libera da qualsiasi condizionamento, portatrice di un messaggio forte, sconvolgente che deve arrivare in modo chiaro e diretto a chiunque. Tutti sanno cosa fa, nessuno, o quasi, sa chi è.

Come sottolineato da Gianni Mercurio, nell’articolo “Attenti al ratto! Di Banksy” su ilSole24Ore: «negli anni Ottanta, decennio di formazione per l’artista, la scena underground di Bristol, inizialmente dominata dal postpunk, recepisce presto l’influenza di nuovi stimoli provenienti dagli Stati Uniti, in particolare dalla scena rap e graffitista».

La sua protesta, espressa attraverso le sue opere nei muri delle grandi città, nasceva con l’intento di creare un arte che fosse disponibile a chiunque e, allo stesso tempo, con l’intento di far emergere le contraddizioni della società contemporanea, dedita passivamente al consumismo e incapace di individuare le quotidiane disuguaglianze e ingiustizie nei confronti dei più deboli.

Tra le sue opere più originali e famose, ricordiamo Dismaland, istallazione artistica rimasta esposta dal 21 agosto al 27 settembre 2015. Si trattava di una versione provocatoria di Disneyland: un parco divertimenti sui generis, composto da costruzioni dall’aspetto inquietante. Fra le attrazioni, un castello delle fate in rovina, un barcone colmo di richiedenti asilo, una statua, completamente contorta, della sirenetta Ariel, impiantata in un laghetto e costeggiata da una camionetta anfibia della polizia. Vicino al suddetto laghetto, un cartello con scritto: “Hot dog gratis per chi indovina qual è l’animale nel panino”. Un’altra attrazione, “Pocket Money Loans”, permetteva ai bambini di cinque anni di comprare giocattoli a rate.

“La Sirenetta” di Bansky a Dismaland

Da non dimenticare, tra le varie opere, sono sicuramente i famosi rats di Bansky che, assumendo un messaggio metaforico, finiscono per identificarsi con gli stessi writers. Infatti, così come i topi abitano le cloache e le aree degradate delle metropoli, così i graffitisti, attenti a non cadere nelle trappole delle forze dell’ordine, si muovono di notte, nelle area nascoste e abbandonate delle grandi città, lasciando un loro segno su muri e vagoni. I Rats sono il simbolo di coloro che vivono ai margini della società, che danno fastidio alla vista, ma che potrebbero in qualsiasi momento capovolgere l’ordine costituito. Come Bansky suggerisce «se sei sporco, insignificante e nessuno ti ama, allora i topi sono il tuo modello».

Nella stessa sporcizia scivolano inevitabilmente anche gli indigenti, le classi più basse della società rappresentate nella celebre opera di Blu, artista italiano di cui non si conosce né il nome, né età. 

Sulle pareti dell’ex cinodromo di Ponte Marconi a Roma, ora centro sociale Acrobax, emerge prepotentemente, attraverso il murale dell’artista senigalliese, una critica all’eccesso di violenza, alla religione, al cittadino schiavo della gabbia mediatica e alle guerre. L’opera, dal titolo “Cápita”, lancia un messaggio spietato alla società, pur senza usare parole.

Cápita“, l’opera di Blu a Roma

Da alti e colorati scivoli, come se si trattasse di un parco divertimenti, degli individui cadono in due vasche nettamente distinte: una sovraffollata, con acqua sporca e piena di rifiuti, e costeggiata dalle forze dell’ordine che impediscono agli sfortunati, a colpi di manganello, di uscire e restare a galla; nell’altra, dove vi confluisce solo uno scivolo d’oro, vi sono pochi ricchi individui, che si rilassano all’interno di una piscina dall’acqua cristallina. Questa distinzione è resa più evidente dai colori scelti: nella parte destra dell’opera (dove sono raffigurati gli individui più ricchi) Blu utilizza colori accesi e sgargianti; laddove nella parte sinistra (dove sono raffigurati i più deboli) utilizza, principalmente, il grigio, il nero e il marrone in modo da rendere l’atmosfera più cupa e il contrasto tra le due vasche più evidente.  Blu, attraverso quest’opera, intende rappresentare una società – quella contemporanea – in cui progressivamente si sta ampliando sempre di più la differenza tra pochi che hanno tutto e molti che non hanno niente. Le due vasche, infatti, non rappresentano altro che la suddivisione odierna tra la parte ricca del mondo e quella povera, tra chi ha tutto e vive spensieratamente la sua vita, chiudendo gli occhi rispetto al mondo circostante e dedicandosi ad un edonismo senza misura, e chi non ha niente che, in quanto debole e fragile, è continuamente sottoposto ai soprusi e alle ingiustizie di chi può più di lui. Il parco divertimenti assume le sembianze di un grosso intestino umano, capace di regalare ricchezza e lusso, ma allo stesso tempo miseria e disumanità. Si tratta di una chiara e amara critica al sistema capitalistico globale. Attraverso un’opera allegorica, Blu sintetizza il vergognoso sudiciume che si è insinuato e poi sedimentato tra le pieghe di una società malata, che non si preoccupa nemmeno più di essere curata.

L’arte di Blu lancia un messaggio non banale, che si impone violentemente davanti ai nostri occhi. Anche se forse preferiremmo non coglierlo, il messaggio è chiarissimo, quasi “infastidisce”, ma si presenta lì, davanti a noi, così grande che difficilmente riusciremmo a girare lo sguardo e restare indifferenti. Osservando quell’enorme murale, è inevitabile che dentro di noi si muova un sentimento di tristezza, disgusto, rabbia verso la società che ci circonda. Allo stesso tempo, però, questo sentimento si accompagna anche al desiderio di cambiare lo stato dei fatti, ad una voglia spropositata di pulire quel sudiciume che ci circonda, ma che spesso evitiamo di notare.

È questo un po’ l’obiettivo di (quasi) tutti i writers: riuscire a trasmettere, con un’immagine, quello che spesso con le parole non si riesce a comunicare.  L’arte è rivoluzionaria, nasce come rivoluzionaria, è la sua caratteristica per eccellenza che ne determina l’essenza. L’arte rappresenta il modo di esistere dell’uomo, il suo modo di essere al mondo, di rimanerci e modificarlo continuamente al fine di renderlo migliore. Nel momento in cui facciamo arte, stiamo creando qualcosa di bello e di nuovo che si contrappone alla negatività ed al vecchio che ancora continua a girarci intorno. L’arte è rivoluzionaria proprio nell’intenzione di cambiare la società circostante, è un grido di libertà che contribuisce alla costruzione di un pensiero originale e alternativo, che apra mente e cuore, superando ogni tipo di barriera.

Prix
(ph: T. Supertramp)