WHAT ABOUT SUSSUNZIONE?

COSA LEGA MTV, IL ‘77 E GRETA THUNBERG?

Quello della sussunzione è un fenomeno complesso e articolato, che affiora in ogni ambito sociale: dalla musica ai movimenti di protesta, dalle sottoculture sino alle pratiche di greenwashing.

Un primo grande esempio di sussunzione di un certo tipo di immaginario giovanile è stato sicuramente Mtv. La scommessa -vinta- del canale televisivo era infatti quella di riuscire ad intercettare il mix perfetto di bisogni e desideri adolescenziali di trasgressione, identificazione attraverso lo stile musicale, svago (e un po’ di sana ignoranza) per metterlo a profitto. E’ a partire da questo che si è infatti sviluppato il contenuto formale di Mtv: l’estetica rock, il linguaggio pungente, i contenuti musicali accattivanti spesso contribuivano a creare un’implicita cornice di significanti che, nel loro complesso, sembravano strizzare l’occhio a quel fuck the system” tanto in voga qualche anno fa. Tutto molto bello, se non fosse che Mtv era parte integrante e costitutiva di quel sistema, qui inteso come mercato musicale.

Quando parliamo di sussunzione ci riferiamo a quel processo di assorbimento di ogni tipo di produzione materiale o intellettuale da parte della cultura dominante, compreso -e qui viene il bello- anche tutto ciò che ad essa si oppone.

Nei paesi occidentali, dove l’ideologia dominante è totalmente permeata nel tessuto sociale, in buona parte non c’è più bisogno di quella repressione brutale fatta di camionette e manganelli. Non che questi strumenti non vengano quotidianamente usati per sedare e mettere a tacere i tumulti sociali, tuttavia “il grosso” del lavoro di repressione e contenimento viene spesso svolto dal sistema attraverso l’assorbimento di rivendicazioni di tipo formalepoliticamente corrette– che mirano a snaturare il significato profondo delle lotte in atto e, parallelamente, a coprire il disimpegno politico e l’impossibilità dell’attuale sistema economico di poterle risolvere a livello strutturale.

Succede così per le lotte ambientali, dove la grottesca gara a chi è più green fra partiti e multinazionali è inversamente proporzionale alla volontà degli stessi di risolvere il problema alla radice. D’altronde, come biasimarli: se davvero così fosse, allora essi, per merito, dovrebbero occupare il primo posto nella lista di ciò che andrebbe spazzato via per sempre.

Movimenti inizialmente spontanei e genuini come Fridays For Future stanno venendo via via strumentalizzati da chi ha bisogno di rifarsi una verginità politica, chi spera insomma di poter cavalcare così, per propri tornaconti elettorali, l’ondata di entusiasmo e voglia di lottare che ha coinvolto decine di milioni di giovani e giovanissimi in tutto il mondo. 

Per addentrarsi e capire meglio il meccanismo che sta alla base della sussunzione può essere utile fare riferimento a precedenti storici compiuti.

Nel suo saggio Do you remember counterrevolution?”, Paolo Virno utilizza il termine controrivoluzione per indicare una “rivoluzione al contrario”:

«Vale a dire: un’innovazione impetuosa dei modi di produrre, delle forme di vita, delle relazioni sociali che, però, rassoda e rilancia il comando capitalistico. […] Ma c’è di più: la “controrivoluzione” si giova dei medesimi presupposti e delle medesime tendenze (economiche, sociali, culturali) su cui potrebbe innestarsi la “rivoluzione”, occupa e colonizza il territorio dell’avversario.»

Paolo Virno identifica il capolavoro della controrivoluzione italiana, capace negli anni di riuscire a piegare e a trasformare in requisiti professionali le rivendicazioni e le propensioni collettive del movimento del ‘77 e di quella mutata composizione di classe che dentro le fabbriche era recalcitrante e non collaborativa rispetto al lavoro salariato e, più in generale, all’idea di vivere una vita intera in catena di montaggio.

E’ possibile leggere questa “controrivoluzione” come un meccanismo di sussunzione.

L’elemento di novità sussunto e utilizzato come lievito del nuovo ciclo di sviluppo capitalistico fu proprio quel nuovo tipo di soggettività, che era andata via via formandosi dentro le lotte dell’operaio massa degli anni ‘60 -‘70. Fu così che l’insubordinazione operaia e il rifiuto del lavoro si trasformarono in flessibilità e il tempo di vita liberato dal lavoro in precariato. Per questo, Virno prosegue affermando che il neoliberismo italiano degli anni ottanta è una sorta di ‘77 rovesciato.

Il capitalismo, per alimentarsi e riprodursi, ha bisogno di intercettare e fare proprio l’elemento di novità, che gli permette di innovarsi formalmente pur rimanendo sostanzialmente tale e quale.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»

“Il Gattopardo”, Giuseppe Tommasi da Lampedusa, 1958

Ora: è chiaro che dagli anni ‘70 ad oggi siano cambiate tantissime cose, ma rimane pressoché invariato questo duplice meccanismo che, in sostanza, preserva il sistema da qualsiasi cambiamento radicale e al contempo dona ad esso nuova linfa per rigenerarsi.

Per provare a contrastarlo, è innanzitutto fondamentale imparare a (ri)conoscerlo: quando si manifesta e sotto quali forme. 

E’ interessante notare come, in buona parte, il procedimento di sussunzione all’oggi avvenga essenzialmente tramite l’appropriazione dell’immaginario simbolico che caratterizza quel determinato movimento: il cartello di Greta Thunberg, il pugno chiuso del movimento Black Lives Matter, un canto partigiano in una serie tv che parla di rapinatori buoni, Salvini che rivendica “i valori della sinistra di Berlinguer”. Ciò che conta è l’aspetto esteriore, formale.. il look, per intendersi. Appropriarsi del simbolo per poterne distorcere il contenuto.

Se vogliamo riconoscere e smascherare trappole di questo tipo abbiamo bisogno di acquisire un “occhio clinico”. Dobbiamo dotarci di strumenti simili alle lenti che indossa John Nada nel film “Essi vivono”: capaci di scorgere, al di là del messaggio di propaganda ideologica, il contenuto latente che vi si nasconde al suo interno.

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