Consigli per la quarantena: “The Twilight Zone”

“C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce. È senza limiti come l’infinito. È senza tempo come l’eternità. È la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione dell’immaginazione, una regione che si trova ai confini della realtà.”

Rod Serling

La dichiarazione d’intenti con cui la voce narrante off introduce ogni singolo episodio di “Ai confini della realtà”, seppure presentata ogni volta in maniera diversa grazie a qualche piccola inversione di parole, converge sempre nello stesso concetto e soprattutto nello stesso fine, ovvero quello di distaccare lo spettatore dalla realtà ed introdurlo all’immaginazione. Così, come in una dimensione parallela, si sviluppano i 156 episodi (divisi in cinque stagioni) trasmessi per la prima volta in America tra il 1959 e il 1964; di questi episodi, ben 93 sono stati scritti dal creatore della serie Rod Serling; egli stesso ha dichiarato che il titolo originale,The Twilight Zone(la zona del crepuscolo), oltre a coincidere con la zona di vuoto che gli astronauti incontrano quando, lanciati nello spazio, perdono la vista dell’orizzonte, è in realtà collegato alla sua stessa insonnia, la quale lo portava a scrivere gli episodi della serie durante la notte. Dal mondo oscuro dell’ignoto emergono queste storie, ognuna autonoma e diversa dalla precedente, ma collegate da una trama concettuale che ripropone leitmotiv ricorrenti, come quello surreale e distopico.

Rod Serling

La formula è quella della serie antologica, di cui questa opera rappresenta le origini, insieme ad un’altra serie di qualche anno prima, Alfred Hitchcock Presents (1955). Questa tipologia di serie è caratterizzata dall’assenza di personaggi e ambienti fissi: ogni puntata è basata su una narrazione a sé stante, con protagonisti (ed attori) sempre nuovi, contestualizzata in scenari spazio-temporali (ed annesse scenografie) sempre differenti. Ciò risultò, in effetti, molto dispendioso per le produzioni dell’epoca, che nel tempo abbandonarono questa modalità, riscoperta solo nel nuovo millennio. Nonostante l’assenza di una trama narrativa univoca, i fattori ricorrenti sopra citati – come la presenza di una voce narrante e l’uso di leitmotiv – permettono invece la presenza di una trama contenutistica forte. Un altro fattore unificante è la nozione di genere: le frequenti apparizioni di alieni, mostri e fantasmi in alcuni episodi di Ai confini della realtà hanno portato spesso i critici ad etichettare questa serie come fantascientifica; piuttosto, credo che una connotazione più “moderna” come quella di thriller psicologico si presti meglio a descrivere la vera natura di questa serie, sebbene anche questa definizione manchi di precisione rispetto al forte grado di denuncia sociale che c’è dietro la maggior parte delle puntate. La componente fantascientifica in sé e per sé è accessoria e subliminale, in generale poco rilevante: nello specifico, sono davvero pochi gli episodi che mostrano concretamente creature aliene, mostruose o paranormali. Nella maggior parte dei casi, infatti, il tema fantascientifico è rapportato ad umani o a nuove tecnologie. Inoltre, così come nella dichiarazione d’intenti iniziale, la fantascienza stessa è solamente un espediente per Serling, grazie al quale può sviluppare qualsiasi metafora sociale senza preoccuparsi della censura. D’altronde, come leggiamo in un commento della sua biografia:

“Lui era solito scrivere della questione del giorno in forma di metafora perché quello era un modo migliore per portare in televisione certe tematiche. Nessuno, infatti, avrebbe mandato in onda una serie sul razzismo, ma messa in forma di analogia e sviluppata con gli alieni, invece, si poteva fare.”

Charlie Brooker (regista di Black Mirror)

Non è un caso che proprio Charlie Brooker si sia ispirato alla vita ed alle opere di Rod Serling per la sua produzione. The Twilight Zone è un Black Mirror (2011) in bianco e nero, scritto mezzo secolo prima: sono entrambe serie antologiche, entrambe raccontano di persone comuni che si trovano ad avere a che fare con situazioni paranormali, entrambe affrontano il tema dell’ignoto, con una vocazione speciale per le nuove tecnologie, le nuove scoperte scientifiche e l’impatto di queste sull’essere umano.

Scena tratta da “Black Mirror – 15 Million Merit”

Le differenze tra le due opere sono per lo più strutturali: mentre gli episodi di Black Mirror sono dettagliati e prolissi, The Twilight Zone si distingue per un approccio alla storia più sintetico, più cinico. Serling e la sua serie si caratterizzano per l’uso peculiare di espedienti formali, che conferiscono enfasi al racconto: sono celebri gli switching endings, delle trovate geniali che capovolgono del tutto la situazione in pochi secondi, conferendo alle singole storie dei finali tanto perturbanti quanto spettacolari. Altro punto forte è la durata: 25 minuti sarebbero pochi per chiunque, ma Serling riesce a raccontare eventi spesso complessi in maniera chiara e concisa, senza dare tempo allo spettatore di distrarsi, mantenendolo incollato allo schermo dal principio fino all’ultimo colpo di scena. Non a caso, la quarta stagione può essere considerata l’unico neo della serie, poiché la produzione decise di ampliare la durata degli episodi ad un’ora (alla Black Mirror, appunto), costringendo il regista a rivoluzionare il modo di raccontare le sue storie. Il conseguente fallimento di questa stagione portò infatti la produzione a ritornare alla vecchia durata per gli episodi della quinta ed ultima stagione.

Ai confini della realtà ha avuto due revival nello scorso secolo, tre in tutto considerando l’ultimo uscito da poco negli Stati Uniti. Tuttavia, la serie classica originale si distingue per essere ancor oggi incredibilmente avanti con i tempi, addirittura più avanti dei suoi successivi riadattamenti, nonostante essi siano cronologicamente più recenti e tecnicamente più moderni. L’attualità della serie classica, più che nell’accuratezza della messinscena del “futuro”, è da ricercare nelle tematiche proposte. Il primo episodio, intitolato “Where’s everybody?”, rappresenta un’ottima sintesi dell’intera opera, tanto che ne potrebbe costituire un trailer: il protagonista si ritrova disperso in un paesino che non aveva mai visto prima; egli è completamente solo, si agita invano cercando qualcuno. Nonostante le sue ricerche, l’intero paese sembra infatti deserto, come se fosse stato improvvisamente abbandonato. In questa situazione surreale di tensione crescente (quasi angosciante per lo spettatore) il nostro uomo arriva ad impazzire. Il rapidissimo colpo di scena finale (che ovviamente non vi spoilero) rivela che il vero “mostro” con cui l’essere umano si dovrà confrontare nel nuovo millennio è l’essere umano stesso.

Dall’episodio “Where’s everybody?”

Come questo episodio suggerisce, la maggiore differenza tra il cinema di Serling e quello con cui è stato confuso è che lui non parla di alieni, ma di alienazione. In molti episodi, l’alieno è una presenza metaforica più che fisica: egli rappresenta l’incontro con l’estraneo, il forestiero, l’ignoto, e talvolta viene usato per rappresentare l’isolamento sociale e mentale dell’uomo moderno.

Senza fare spoiler, passiamo ora in rassegna alcuni fra i titoli più interessanti tra i 156 episodi della serie classica, ormai facilmente visibili gratuitamente su Internet (oppure cliccando sui titoli sottolineati qui sotto, perché ci sentiamo buoni):

  • People are alike all over – Stagione 1, Episodio 25

    In questo, così come in molti altri episodi della prima stagione, l’apparato narrativo proposto è lo stesso: la storia si evolve positivamente per il protagonista, ma c’è sempre un gesto (o una parola) che insinua il dubbio nello spettatore; lo switching ending finale ricollega tutte le tracce lasciate durante il percorso ed improvvisamente capovolge la situazione. Un’altra caratteristica dell’episodio, in comune con tutta la serie, è il grande grado di rilevanza del titolo. “People are alike all over” (Le persone sono uguali dappertutto) è la frase che Marcuson, astronauta esperto e sfacciato, continua a ripetere al compagno Conrad, nel tentativo di tranquillizzarlo. Egli, infatti, è intimorito dalle forme di vita che potrebbero incontrare nel loro prossimo viaggio nello spazio. Alla fine dell’episodio, le parole di Marcuson si rivelano più vere di quanto egli stesso pensasse: se le persone sono uguali dappertutto nell’universo, lo sono anche per le atrocità che ripetutamente compiono.

    Una scena di “People are alike all over”

    Un episodio senza dubbi illuminante. Avevo in effetti già proposto un parallelo tra questo episodio ed il tema del presunto progresso umano, nel Phototelling La piaga dell’uomo.

  • The obsolete man – Stagione 2, Episodio 29

    In molti episodi di questa serie è possibile trovare forti fonti di significato o morali ad impatto sociale. “The obsolete man”, dal canto suo, è un episodio pervaso interamente da una forte critica, che il regista muove al mondo contemporaneo. La storia parla di un uomo, Romney Wordsworth, (magistralmente interpretato da Burgess Meredith) citato in giudizio perché accusato di essere obsoleto. Le forme del tribunale, che vedono il cancelliere (nonché giudice) rialzato sproporzionatamente rispetto all’imputato, tradiscono la forma di governo totalitario in cui Serling ambienta la vicenda: siamo negli anni duemila, le macchine hanno completamente sostituito i libri, lo Stato ha dichiarato che Dio non esiste e, soprattutto, la società etichetta e giudica le persone in base alla loro professione.

    Il tribunale in “The obsolete man”

    L’episodio si chiude con la classica voce fuori campo di Serling, che indirizza in maniera chiara il suo messaggio:

“Qualsiasi stato, entità o ideologia diventa obsoleto quando immagazzina le armi sbagliate: quando cattura i territori, ma non le menti; quando schiavizza milioni di persone, ma non convince nessuno. Quando è nudo, allora indossa l’armatura e la chiama fede, mentre agli occhi di Dio non ha assolutamente fede. Ogni stato, entità o ideologia che non riesce a riconoscere il valore, la dignità, i diritti dell’uomo è da definire obsoleto.”

 

  • Five characters in search of an exit – Stagione 3, Episodio 14

    Un altro leitmotiv narrativo ricorrente di “Ai confini della realtà” è quello in cui il protagonista o un gruppo di personaggi sono catapultati in una situazione che è nuova tanto per loro quanto lo è per lo spettatore; vale a dire che, talvolta, i personaggi non sanno dove si trovano né ricordano da dove vengono e, insieme allo spettatore, cercano di ricostruire una verità che si rivela perturbante. Ispirato dal pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore, di cui “Five characters in search of an exit” (Cinque personaggi in cerca di un’uscita) ne rappresenta una variazione esplicita, l’episodio in questione racconta della singolare avventura di un gruppo di personaggi dalle caratteristiche spiccatamente teatrali: un clown, un vagabondo, uno zampognaro e una ballerina. Intrappolati in quello che sembra un gigantesco cilindro metallico già da qualche giorno, essi si sono rassegnati alla prigionia immotivata e hanno smesso di cercare una via di fuga, fino a quando un nuovo personaggio appare nella stanza.

    Tratto da “Five characters in search of an exit

    Questo episodio è uno di quelli in cui l’autore (e noi con lui) gioca con il tema del mistero, facendo muovere i suoi personaggi in una dimensione neutra e atemporale in cui l’unica sicurezza è l’ignoto: nessuno sa se la storia sia reale o sia solo frutto di un terribile incubo. D’altronde, chi può dirlo, ai confini della realtà.

  • Number 12 looks just like you – Stagione 5, Episodio 17

    Sicuramente una delle puntate più interessanti per il suo valore denunciatore e profetico. “Il numero 12 ti assomiglia” -questo il titolo italiano- propone una realtà futura (neanche tanto, ancora una volta l’anno indicato da Serling è il 2000) in cui le persone, appena arrivate al diciottesimo anno di età, vengono sottoposte ad un intervento chirurgico che le trasforma in un modello predefinito, al fine di rendere tutti più belli e socialmente accettabili. La protagonista della vicenda, Marilyn, si trova nell’ospedale nel quale dovrà compiere il suo intervento, ma è convinta fortemente di non volersi sottoporre ad esso. Marylin sembra l’unica a percepire la gravità di questo conformismo esasperato che rende tutti uguali l’uno all’altro; durante le vicende che occorrono nell’ospedale, la giovane protagonista capisce che quel tipo di conformismo in realtà non si limita al lato estetico, ma va ben oltre, arrivando a condizionare profondamente la mente e il pensiero.

    Una scena dell’episodio Number 12 looks just like you

    Ritornando al rapporto indiretto proposto in precedenza tra Ai confini della realtà e Black Mirror, questo episodio è probabilmente la prova più concreta del parallelismo fra i due; infatti, lo stesso regista Charlie Brooker ha dichiarato di essersi ispirato all’episodio in questione per la puntata numero due della prima stagione, Fifteen Million Merits (15 milioni di celebrità). Più che riprenderne la trama narrativa, Brooker riprende quella concettuale: l’omologazione e il conformismo sono forme di alienazione mentale a cui la società moderna va irrimediabilmente incontro.

Ancora oggi sono di sorprendente efficacia le soluzioni psicologiche e narrative utilizzate da Serling: temi più che mai attuali, che aprono la mente sui problemi sociali causati dalle derive negative del progresso, di cui oggi, nel 2020, possiamo testimoniare le effettive conseguenze. La forma coincisa dei racconti e le astute tecniche cinematografiche rendono ogni episodio leggero e godibile, così che la comunicazione risulti di totale efficacia. Nonostante gli anni ’50 rappresentino l’approdo del colore nel cinema mondiale, Serling mantiene il bianco e nero come cifra stilistica dell’intera produzione: egli si appresta a parlare del futuro, un futuro prossimo ma ancora sconosciuto, che gli appare come un sogno. Per questo il bianco e nero è utile per catapultare la storia in una dimensione parallela, dove tutto è concesso perché tutto è illusorio, ma dove l’illusione si rivela specchio fedele di una realtà inquietante.

In questo periodo così particolare, dove tutto si è fermato e ognuno di noi è chiamato a confrontarsi con la propria individualità, credo sia importante cogliere l’opportunità per riflettere su ciò che, abitualmente, ci sfugge. The Twilight Zone proviene dal passato, ma parla del presente: un contenitore di spunti utili per interpretare la realtà attuale, che sempre di più tende “ai confini della realtà”.

T. Supertramp