Joker e Parasite: tra riscatto e vendetta

Ho sempre pensato che i film, come le opere artistiche in generale, custodiscano la possibilità di descrivere lo sviluppo delle società. Di cogliere le tendenze intestine che si muovono sotterraneamente. Questa capacità di anticipazione è peculiare alla stessa opera artistica, grazie al suo essere singolare ed universale al tempo stesso. D’altra parte, dietro ad ogni manufatto esiste sempre il lavoro di chi lo concepisce ed il suo rapporto con la realtà esterna.

Nel mondo odierno, filtrato in continuazione da schermi, immerso nell’etere della comunicazione digitale (la cui rappresentazione fittizia rischia, giorno dopo giorno, di sostituirsi alla realtà), la finzione acquisisce così paradossalmente la capacità di restituire veridicità alla narrazione.

In questo, senso l’arte prediletta per raccontare la realtà attraverso la finzione, coadiuvata dal supporto visivo, così caro a questo 21esimo secolo, pare essere proprio il cinema.

È emblematico che a distanza di così poco tempo siano usciti due film capaci di scuotere, sin dentro il profondo, anche le soggettività più intorpidite dal tepore ideologico post moderno: sto parlando di Joker e Parasite.

Penso che la qualità migliore che vada attribuita a questi due film sia, di fatto, quella di aver disvelato la polvere nascosta sotto il tappeto delle nostre società, dall’America sino alla Corea del Sud: le due opere, alla loro maniera, esplicitano il “Grande Altro”, spesso così taciuto. Che sia stato fatto attraverso canali e formule mainstream, perciò di massa, tanto meglio!

Ma andiamo con ordine…
Partiamo con un quesito: perché scrivere un articolo che prenda in esame e commenti due film così (apparentemente) diversi?
Non mi interessa qui analizzare aspetti tecnici, attoriali o registici che siano: in primo luogo perché non ne ho le competenze e, per la verità, nemmeno la voglia. Ciò che mi preme fare è tracciare una mappa delle soggettività che emergono da questi due film, cercando di capire dove possano essere situati punti di prossimità e dove invece si aprono divergenze. L’obiettivo è quello di costruire un sentiero capace di leggere organicamente la frammentarietà sociale nel mondo odierno.

Innanzitutto partiamo dalla scelta dei soggetti protagonisti di ambedue i film: chi sono Arthur (in Joker) e i componenti della famiglia Kim (in Parasite)?

Nel primo caso ecco il ritratto di un uomo solo e senza legami, malato psichiatrico, costretto a dividersi tra un lavoro umiliante e l’assistenza alla madre anziana, non più autosufficiente.
Nel secondo film lo zoom è esteso all’intero nucleo familiare: nella prima sequenza del film conosciamo i Kim, intenti a chiudere manualmente cartoni delle pizze in cambio di qualche spicciolo, mentre quasi rischiano di morire soffocati per avere una “disinfestazione gratis”. Anche qui traspare da subito il ritratto di una famiglia sottoproletaria, in forte difficoltà economica, unita e felice anche se quotidianamente indaffarata a procacciarsi la propria sussistenza tra la ricerca di una rete wi-fi, di un piccolo impiego o di un posto dignitoso in cui vivere, lontano da ubriaconi seriali e urinanti.

Chi sono questi soggetti è presto detto: degli sfigati.
O meglio, costituiscono la rappresentazione minuziosa di tutti gli attributi necessari per essere istantaneamente catalogati come sfigati dalla nostra bella civiltà: Losers.
In effetti, non manca di certo qualcuno pronto a ricordarglielo. Nel primo caso, ci pensa Thomas Wayne ad apostrofare boriosamente come pagliacci “chi nella vita non ha mai combinato niente”. Nel secondo, in maniera non del tutto dissimile, è il padre della ricca famiglia Park a lasciarlo intendere più velatamente quando, rivolgendosi alla moglie per descrivere l’operato di Ki-taek come suo autista, rivela la sua insofferenza per l’odore “di sottoscala” di quest’ultimo, che “a volte pare proprio superare il limite” .

Vediamo qui esplicitati due atavici luoghi comuni, da sempre utilizzati in maniera denigratoria e speculativa da una classe verso l’altra. E’ l’eterno, odioso ritorno demagogico per cui, in fin dei conti, i poveri sono tali in quanto fannulloni e, ancor più odiosamente, in quanto poveri, puzzano.

In entrambi i film, anche se in momenti temporalmente differiti, vi è un evento particolare (in s’è solo l’ultimo delle tante angherie già precedentemente subite) che scatena lo strappo irricucibile. Uno strappo che avviene nell’Io più profondo dei protagonisti stessi ancor prima che contro qualcuno, in cui il sentimento che funge da catalizzatore è quello dell’umiliazione. Da ciò, gli atteggiamenti che ne possono scaturire sono due e due soltanto: abbassare la testa e porgere l’altra guancia o scegliere di vendicarsi.

Questa biforcazione è rappresentata magnificamente in Joker durante le diverse riprese sulla lunga scalinata. Ogni qual volta Arthur torna a casa sconfitto, dopo essere stato picchiato, dopo aver perso il lavoro ed essere sempre rimasto in silenzio, la sua è un’Ascesa infelice, nel senso cristiano del termine. Nel momento in cui decide finalmente di vendicarsi, invece, egli Discende, e la sua discesa verso gli inferi, nelle viscere della metropoli, è a passo di danza, la danza della vendetta. E’ solo a partire da quella scena che la metamorfosi a Joker può dirsi veramente completa.

E’ interessante notare come, in ambedue i film, nel descrivere i personaggi ed il loro contesto d’appartenenza, la narrazione rifugge sia da una retorica vittimista, all’insegna del buon samaritano, sia da una pura ed eroicizzante (alla Ken Loach, per intendersi). Entrambe sono idealizzazioni piuttosto comuni, quelle tra buoni e cattivi, che rischiano però di appiattire e banalizzare la complessità della psiche umana (oltre che a risultare piuttosto noiose).

Gli “eroi” di Joker e Parasite sono sporchi ed impacciati.

Infatti, come non sorridere quando Ki-Taek, dopo aver visionato un documento del college falsificato ad arte dalla figlia, esclama con orgoglio: “Se Oxford avesse un corso in falsificazione di documenti Ki-Jung sarebbe la migliore della classe!”

Idem in Joker, ad esempio quando all’ingresso dell’ospedale Arthur viene interrogato dai due poliziotti e, per congedarsi da questi ultimi, cercando l’uscita di stile, finisce irrimediabilmente per dare una capocciata contro il vetro della porta.

E’ proprio in scene apparentemente banali come queste che, in realtà, è in atto una dissacrazione totale rispetto al supporto (in s’è molto filmico), che tende a voler uniformare la sfera emotiva a modelli ideologici precostituiti. Lo stesso smarrimento che, già in tempi non sospetti, faceva fare quelle risate amare durante i film di Fantozzi.

Se è vero, dunque, che fra entrambi i film possiamo ravvisare molte somiglianze, è altresì vero che l’evoluzione psicologica dei personaggi, seppur convergenti infine nel medesimo atto, si sviluppa attraverso una concezione che è diametralmente opposta.

Parlavamo prima di uno “strappo irricucibile” che si sedimenta nel profondo dei personaggi a partire da un determinato evento scatenante. Mi chiedo ora: qual è la cornice concettuale su cui si dipana questo trauma?

Per Joker, presto detto, è racchiusa nelle parole che Arthur pronuncia poco prima di uccidere la madre: “Ho sempre pensato alla mia vita come una tragedia. Adesso vedo che è una commedia”. In Parasite, anche in questo caso, la trasformazione è più metaforica, più registica per gli espedienti che mette in atto, ed ha a che fare con un particolare evento meteorologico: la pioggia.

Va sottolineato come Parasite, anche se con sfumature noir via via più accentuate, per buona parte del film somigli sostanzialmente ad una commedia. La pioggia torrenziale rappresenta, letteralmente, la burrasca che si abbatte sulle vite dei Kim. E’ interessante analizzare cosa succede poco prima dello scoppio del temporale, poiché anticipa diversi snodi del film.

Ki-Taek: “Che ne sarà stato dell’autista di cui io ho preso il posto, avrà trovato un nuovo lavoro?”
Ki-Jeong (la figlia): “Papà concentrati su di noi, non sull’autista Yoon ma su di me!”

-fulmine-.

Come osserva acutamente in un secondo momento Ki-woo (il figlio), sua sorella, pur non essendo mai stata abituata, sembra trovarsi a proprio agio nel condurre una vita da nababbo; l’individualismo egoistico che dimostra poco prima col padre non ne è forse la riprova?
E ancora, possiamo scorgere il primo segno di cedimento in Ki-Taek quando la moglie, provocandolo, afferma che questo, in caso di pericolo, si nasconderebbe come uno scarafaggio; il paragone scatena nell’uomo una reazione violenta e inaspettata. Parasite da questo momento, parafrasando e capovolgendo le parole di Arthur, da commedia si fa dramma.

Ecco la vera differenza fra questi due film: l’evoluzione temporale della storia e, con essa, quella psicologica dei personaggi, fa sì che il dramma muti in commedia (Joker) e la commedia in dramma (Parasite). Il capolavoro che li unisce, tuttavia, è la consapevolezza intrinseca di quanto dramma ci sia in ogni commedia e di quanta commedia in ogni dramma.

Ciò che traspare da entrambe le vicende è la sensazione di un’annichilente solitudine collettiva. Una frammentarietà che inchioda i personaggi ai loro destini individuali, annullando così in loro ogni possibilità di riscatto collettivo e relegando, di conseguenza, la sfera della conflittualità ad una dimensione privata, individuale appunto. Non stupisce, quindi, come nel mondo odierno gli ultimi vessilli di ideologia appartengano al fondamentalismo religioso. Non stupisce nemmeno più quando qualche giovane si fa saltare in aria, o prende in mano un mitra, entra nella propria scuola e compie una strage. Le forze coscienti si dovrebbero interrogare sul perchè la risposta al disagio della nostra civiltà venga ricercata negli psicofarmaci, piuttosto che nella reclusione forzata dentro la sfera privata della propria residenza (Hikikomori). A fronte di un’insofferenza, più o meno generalizzata, rispetto al modello di vita che la società ci impone -un’imposizione che, è bene ricordare, è funzionale unicamente alla riproduzione del sistema capitalistico che essa sorregge- le uniche due alternative che rimangono a chi decide di non volersi conformare sembrano essere l’annichilimento di sé o la distruzione più cieca.

In fondo Joker e Parasite, nella loro potenza, non fanno altro che metterci di fronte a questa evidenza.

Mors