La Bolla: in morte di Bologna la Rossa

Vivere Bologna significa respirarla. Di alba in alba, avvolta da una perenne coltre di nebbia che pare incantare il tempo, questa città non smette di trasudare odori e profumi unici, che pervadono ogni angolo dei suoi vicoli e porticati, ogni incrocio dei suoi trafficati e fumosi viali, ogni anfratto nascosto fra le palazzine degli infiniti quartieri popolari che ne circondano il centro. Ogni strada sembra avere almeno una storia da raccontare, segnata indelebilmente dall’incessante fluire di genti e generazioni che, da secoli, ne hanno delineato la morfologia e solcato la memoria.
Un miscuglio di popoli, di speranze e di sogni che si fondono, da oltre un millennio, nella stretta più calda e primordiale che questa città sa offrire, costituendo la culla natia delle più importanti esperienze di ribellione ed autonomia ricordate nelle cronache e nei racconti di strada e di lotta, specialmente del novecento.
Sotto quei portici si respirano ancora gli amari puzzi degli scontri di piazza del secolo scorso, quando la polizia sparava ed uccideva gli studenti e questi rispondevano fermamente con la lotta armata; si sentono ancora le urla, gli spari, gli slogan di protesta del ’77; i groove ipnotici delle prime sottoculture riecheggiano e le mura, ormai sbiadite, riflettono i colori sgargianti di graffiti vecchi e nuovi nascondendo abilmente, fra le mille corti interne, quei civici che ospitavano la stesura della Storia, fra un’occupazione ed una radio pirata; le stesse piazze cantano tutt’oggi i versi di quei cantautori, ormai eretti miti delle discografie, che un tempo ne scaldavano il pavimento per intere nottate armati di chitarra e vino rosso, narrandone quei semplici attimi di vita che ora sembrano così lontani e così uguali al tempo stesso. Bologna vive di memoria mentre solca il suo incerto presente.

Un’enorme bolla.

Più volte, conversando in questi ultimi anni con amici e conoscenti che come me risiedono, studiano o lavorano qui, mi è capitato di ascoltare una frase che, pensandoci adesso, suona perfetta per definire questa città: “Bologna è una bolla”.
In effetti, non mi viene difficile immaginarla come un’enorme bolla di vetro che circonda, distorce e protegge chiunque la abiti, concedendo spazi di vita, tempi e libertà che altrove sembrano impensabili.
Abitare una città del genere, tuttavia, può essere narcotico: tralasciando l’esatta definizione del termine (e la lunga e dolorosa relazione con l’eroina degli scorsi decenni che Bologna si trascina tutt’ora addosso), lo scorrere del tempo e delle coscienze pare spesso congestionato, perso negli anfratti malinconici degli anni che furono e che, ahimè, non sono. I contorni sbiadiscono piano, anneriti dal fumo; i canti scemano lentamente, lasciando spazio al silenzio, assordante. Quella bolla, così lucente, ma così delicata per definizione, rischia di infrangersi da un momento all’altro.

ph: Pio_cavaliere

 

Il nulla che avanza.

La distrazione di massa, il divertentismo turistico, pulito ed imbellettato, l’eccellenza statistica prevalgono e, nella pratica, predominano, nuovi “dividi et impera” della borghesia radical chic di palazzo, demolitrice di radici ed utopie nate dal basso. Le innumerevoli esperienze studentesche, uniche e – nella maggior parte dei casi – in quanto tali irripetibili, stanno sempre più lasciando il posto al piattume, al pattume dell’ordine in nome di una “normalità” che, più che tale, pare uno standard. Le svariate derive artistiche sembrano spesso confluire, come da copione prescritto, negli stessi sbeffeggi commerciali importati dai “brand” un tempo ripudiati. Le periferie, per decenni dimenticate dai signori di corte, vengono ora svendute e ridisegnate a piacimento con righello e squadra come ai tempi dei più beceri colonialismi, cancellando storie, vissuti e socialità che, lontano dalle vetrine di Via Rizzoli, si erano col tempo radicate ed autodeterminate. Le realtà autogestite, isole autonome e cuori pulsanti della vita sociale ed artistica di quegli stessi quartieri, vengono sgomberate e spazzate via a suon di ruspa e gentrificazione, a ritmi sempre più serrati.
Il nulla avanza imperterrito, figlio bastardo di un nichilismo liquido.

Il grande inverno.

L’autunno, storicamente, è il periodo perfetto per le grandi mobilitazioni. D’altro canto, le città universitarie sembrano risvegliarsi proprio in questi mesi, rianimate dal grande “esodo del ritorno” dei fuori sede che, prontamente, ripopolano e reintasano quegli spazi che, durante l’estate, restano spesso deserti e dimenticati. Bologna, d’altronde, conosce bene questo aspetto, avendo per decenni basato la propria economia proprio sull’offerta universitaria e sulla smisurata galassia commerciale che ne deriva.
La stagione delle piogge, dunque, trascina tradizionalmente con sé anche quella delle lotte, ridando vita e linfa a quei movimenti che si nutrono proprio degli “autunni caldi” per riassestarsi nei numeri, nelle cause e, soprattutto, nelle strade.
Tuttavia, se è vero che il passato bolognese (neanche troppo remoto) è stato spesso caratterizzato dalle mobilitazioni di massa e dalle grandi battaglie, figlie di una tradizione di lavoro capillare di coordinamento delle piazze e degli animi studenteschi, è altrettanto vero che il presente non sembra essere “all’altezza delle aspettative”. Si intenda, qui non si parla di un’ipotetica “sterilità della lotta”, vista la svariata gamma di questioni attuali e contemporanee, a dir poco urgenti, per cui prendere posizione. Quel che pare evidente, tuttalpiù, è una totale mancanza di coinvolgimento nella lotta stessa, che ne determina – troppo frequentemente – la morte.
Non me ne vogliano le svariate realtà autonome e/o occupate (che frequento, supporto e di cui, nel mio piccolo, faccio parte), le associazioni culturali e gli svariati collettivi che quotidianamente resistono e costruiscono tutt’oggi esempi di utopie possibili: quel che pare trasparire, ahimè, è una grave mancanza di analisi del proprio tempo, mista ad un un’attuale incapacità di comunicare  internamente e, in particolar modo, col mondo esterno, ricadendo in un empio anacronismo autoreferenziale.
Quel mondo esterno, spesso impreparato alla lotta ed alla dialettica politica (ma non per questo insensibile alle dinamiche delle stesse), che si è quindi gradualmente allontanato e disinteressato, delegando nuovamente le lotte ai politicanti di mestiere, riducendo alla scheda elettorale ed alla matita del voto le proprie presunte armi di riscatto sociale. Quello stesso universo di persone che ora perse, confuse da stralci residui di ideali passati ed improbabili premesse e promesse elettorali odierne, navigano erranti fra una piazza e un convegno, fra un comizio e un concerto, rimbalzando dal salvinismo al sardinismo con velocità e prontezza imbarazzante. Gli stessi che, ormai orfani di immaginazione e consapevolezza, restano saldamente ancorati al perimetro istituzionale, fazioso e spettacolarizzato di ogni questione, evitando finalmente e totalmente l’arduo compito di pensare ed agire personalmente… Ma ci arriviamo dopo.
L’eterno autunno bolognese pare oggi raffreddarsi, lasciando il posto al grande inverno.

ph: Pio_cavaliere

 

Fuori tutti, fuori tutto.

Che i signori a palazzo, di qualsivoglia schieramento e periodo storico, abbiano sempre visto di cattivo occhio ogni realtà indipendente ed alternativa al potere costituito, non è certo una novità. Che ne abbiano spesso strumentalizzato, specialmente nella (presunta) sinistra, ogni lato conveniente al proprio tornaconto elettorale, è cosa altrettanto nota quanto squallida, oltre che facilmente prevedibile. L’attuale giunta bolognese, recante vessillo del PD, non ha ovviamente fatto eccezione.

Sin dagli esordi a corte, Merola e co. non hanno infatti perso tempo, delineando a tal riguardo una strategia d’azione ahimè consolidata, facilmente riscontrabile nelle pratiche e, soprattutto, negli effetti: a partire dal Taksim nel 2014, quando, dopo ore di lacrimogeni e scontri, un giovane Virgilio Merola dichiarava soddisfatto a La Repubblica: “Sgomberiamo tutto, una per una sgombereremo tutte le occupazioni fatte. Continueremo su questa strada, la nostra volontà è chiara; passando per gli sgomberi coatti delle occupazioni popolari ed abitative, di cui l’episodio all’Ex Telecom del 2015, tristemente ricordato per le manganellate su mamme e bambini inermi, fu solo il primo capitolo di una lunga e mirata campagna di guerra ai poveri; proseguendo con l’Atlantide nel 2015 ed il Làbas nel 2017 (sgomberato prima, ricollocato sotto concessione poi – sigh – solo dopo mesi di mobilitazioni, che coinvolsero quasi 10.000 persone); fino ad arrivare al biennio attuale, con la saga infinita dell’XM24, delle promesse non mantenute e delle irruzioni alle 5 di mattina. Merola pare adorare l’odore dei lacrimogeni al mattino, prediligendo a tal proposito una linea politica invidiabile persino dalle peggiori destre.

Fuoco incrociato.

La linea dura e repressiva, tuttavia, rappresenta solo una delle tante variabili perpetuate in questi anni in città che, seppur con differenti tempismi, hanno parallelamente concorso nelle responsabilità della creazione di un clima di diffuso turbamento e progressivo annichilimento generale.
Vale la pena, fra questi, sottolineare particolarmente la questione abitativa, di natura studentesca e non: una crisi silenziosa, che si è aggravata, di anno in anno, proporzionalmente al repentino incremento di affluenza umana ed universitaria verso il capoluogo emiliano dell’ultimo decennio. Curioso, azzarderei.
Curioso che gli stessi bolognesi, storici locatori di professione, speculino adesso più che mai sui propri immobili, alzando i prezzi fino alla quasi inaccessibilità, riproponendo beceri ed arcaici stereotipi discriminatori nella selezione dei fortunati affittuari, convertendo abitazioni studentesche in virulenti airBnb o decidendo addirittura di tenere interi stabili vuoti ad oltranza, in attesa dell’affare più conveniente (o fraudolento). Curioso il contemporaneo diffondersi a macchia d’olio delle agenzie immobiliari, proprio nel periodo apparentemente più difficile per il mercato. Curioso che il comune abbia instaurato una guerra alle occupazioni abitative, spesso popolate da minoranze precedentemente ignorate e dimenticate in strada proprio dalle “sinistrissime” istituzioni. Curiose le multe ai senzatetto, colpevoli di esser tali e di dover quindi stendere i cartoni in terra per dormire, gli stessi senzatetto casualmente cacciati dalle case sopracitate. Curiosa la presunta riqualificazione delle periferie, Bolognina in primis, riscoperta ora in un potenziale tutto nuovo, quello dell’imminente (quanto prevedibilmente fallimentare, segnatevelo) contenimento universitario: un processo atto ad espiantare la scomoda e rumorosa vita studentesca dalle mura del centro storico, ora destinato e riservato al preziosissimo turista, nuovo e succoso abbacchio economico della Grassa. Curioso, senza volermi ripetere troppo, anche il tempismo della repressione contro le realtà autonome, puntualmente in prima linea nelle cause studentesche e abitative, dunque potenzialmente d’intralcio alle volontà di palazzo. Curioso quanto questo plurimo fuoco incrociato abbia confuso e, per assurdo, addolcito anche gli animi ventenni, un tempo ribelli per definizione, ora dormienti ed incapaci di distinguere amici e nemici del presente, persino in un luogo come questo. Curioso come una città come Bologna, famosa in passato per le sue grandi ed accoglienti braccia (e cosce), stia ora diventando un lusso per pochi, cortigiana d’alto rango di una borghesia intellettualoide d’oggi, madre degli idioti di domani.

ph: Pio_cavaliere

 

La sinistra tollerabile, il tango degli ideali.

Così, mentre questa città cambia veste, trucco e parrucco, oramai schiava del papponismo liberal-democratico della Gauche Caviar merolesca, perde lentamente la propria memoria. Un epidemico Alzheimer urbano pare galoppare con sempre più aggressività, privando La Rossa, a piccole dosi, di quella sua vita di strada che da sempre rappresenta, seppur per poco ancora, l’intero intreccio sinaptico e linfatico del suo organismo sociale e culturale. Quella stessa cultura ormai denaturata e tinta delle più opache e inoccue colorazioni, di cui si preserva quanto basta, all’occorrenza, per salvare faccia, poltrona e reputazione dei signori incravattati, di fronte all’ormai liquido elettorato locale, che, da mancino qual era un tempo, sembra oggi prendere tendenze ambidestre.
Un tango infinito, sfociato facilmente ed a più riprese in imbarazzanti scambi di coppie – e di posti – nella storia. Un incessante vorticare attorno al nulla, che intanto ha permesso a gentaglia come Roberto Fiore e soci di occupare intere strade (di ritorno a Bologna senza remore, dopo l’ormai dimenticata stagione delle bombe di cui si resero protagonisti), mentre si cacciava via e manganellava chi quelle strade le abita quotidianamente; quel nulla che sottovalutava e scherniva la Lega e Salvini mentre concedeva loro spazi, fino ad accompagnarla e scortarla ai citofoni dei bersagli deboli; quel branco di vuoti ideali che si è tanto sbracciato nel contestare il populismo di piazza di tali soggetti, ma che non ha saputo rispondere minimamente ad esso, se non con la stessa arma. Perché ben vengano, per i signori a corte, intere piazze stracolme a sinistra del fiume, ma solo a patto che siano “mediaticamente” pulite (e praticamente inutili).
In questo modo, mentre Piazza Verdi si spopola, diventando un parcheggio a cielo aperto per auto blu in attesa di impellicciati omuncoli con lo sguardo sprezzante per l’umanità, mentre vengono scacciati gli artisti di strada da Piazza Maggiore (e si indice un talent burocratico di pre-selezione per aitanti buskers, mutati in sbandieratori di pezze comunali), mentre squadracce di gendarmi passeggiano a gruppi di venti – coi cani al seguito – setacciando gli studenti di via Zamboni, fra un fischio molesto alla ragazza di turno e un insulto random al tunisino poco più avanti, dorme placida la coscienza bolognese. Si risveglia saltuariamente, ma puntualmente, solo per le belle occasioni, o magari alla tornata elettorale di turno, quanto basta per mostrarsi viva, agghindata e danzante nei 14 secondi di notorietà contemporanea, scandita dalle lancette delle stories, più che della storia. Una vita breve, fin troppo apatica poiché di deboli ambizioni, incapace anche solo di individuare e riconoscere, prima ancora che affrontare, il buio che avanza, dalla memoria corta come quella di un pesce rosso. O di una sardina.

Riprendersi tutto, metro dopo metro.

Le mura di Bologna sembrano ora stringersi, sempre più rapide e minacciose, verso chi le costeggia quotidianamente, lasciando ben intendere l’intenzione di non fermarsi, finché ogni centimetro non sarà ingombrato. Un perenne e claustrofobico avanzare, che nessuno pare riuscire ad ostacolare, fa ombra sui giorni futuri ed assorbe sogni e speranze di un’intera generazione, lasciando trasparire uno scenario per troppo considerato remoto e distopico.
L’incessante sforzo di tutte le realtà, le associazioni, i gruppi ed i collettivi che tutt’oggi – malgrado tutto – resistono, saranno comunque insufficienti a colmare quel black hole culturale che pare insorgere all’orizzonte, quel void neo-imperante che potrebbe, al contrario, assorbire ed annientare tutto, se tali realtà non riusciranno (riusciremo) a comunicare e convergere solidamente in una rete strategica e concreta.
Non sarà la politica, di qualsiasi schieramento, a salvare Bologna, per lo meno non quella di palazzo o di partito. Non è mai stata essa ad animarla realmente, piuttosto il profumo di libertà che ne ha sempre caratterizzato le vie, quel profumo che sta ora svanendo. Non saranno le matite elettorali a rianimarla, non le chiacchiere da social o le iniziative populiste dell’ultim’ora, di qualsiasi frangente.
E’ necessario un flusso incessante di iniziativa, culturale ed artistica in primis, scevra di qualsiasi logica di interesse o mero profitto. Una quotidiana riconquista degli spazi, geografici e mentali: un massivo rivivere e rianimare perennemente ogni angolo, che non si limiti al concerto annuale del 25 aprile o del 1 Maggio che sia (o, ancora peggio, agli eventi pre e post elettorali), ma coinvolga il contagioso entusiasmo di ogni singolo, tramutandolo in ripetuti e recidivi atti di libertà. Contro ogni repressione, contro ogni intolleranza, contro ogni abuso, contro ogni prevaricazione. Contro il nulla che avanza incessante, in ogni sua tinta.

Riprendersi tutto. Metro dopo metro, giorno dopo giorno. Qui ed ora.

Riot Kid
(artwork: Brindisi)