I CAMPI DI RIEDUCAZIONE IN CINA

“L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: «Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!»
Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.”

Umberto Eco,  Il fascismo eterno, 1997

La storia dell’umanità è, fin dalle prime civiltà, contraddistinta da lotte tra popolazioni diverse. Di pari passo, la guerra viene storicamente considerata come strumento di sottomissione e conquista.

“Divide et impera”

“Dividi e conquista” recitava la celebre locuzione latina, che riassumeva la strategia socio-politica applicata da un tiranno per separare i popoli (per la maggior parte dei casi i più poveri), al fine di controllarli e gestirli.
Nonostante dalla Rivoluzione Francese (1789) in poi, soprattutto in Europa, i popoli cerchino di resistere ai dispotismi istituzionali emancipando il singolo individuo dalle rigide classi sociali, le discriminazioni e le persecuzioni permangono. La politica, in quanto tale, unisce e crea un noi all’interno di determinati confini sociali, escludendo però di riflesso chi è fuori dai quei margini, relegato dall’altra parte della frontiera, che diventa un loro.

“Noi contro loro”

I confini tra uomini sono eretti ogni qualvolta si separa ciò che è conosciuto (pratiche sociali, abitudini, fenotipi) da quello che rimane, volontariamente o meno, ignorato, diverso ed escluso. Culture differenti spesso spaventano, perché non ancorate a categorie mentali familiari o che si comprendono e, facilmente, diventano quindi Hostis Publicus per una nazione (o fazione).
Il periodo più recente della storia umana, il XX secolo, è stato caratterizzato da uno dei più grandi genocidi mai commessi. Nel giro di pochi anni, molte nazioni divennero prigioni a cielo aperto per intere popolazioni.
Correva l’anno 1933 quando Hitler giunse al potere in Germania ed inaugurò la propaganda razzista, che prendeva di mira principalmente individui di religione ebraica, ma anche altre e varie etnie considerate “dannose” o “inferiori” e, in generale, tutti coloro che dimostrassero comportamenti o pratiche ritenute dissimili dal regime nazista.
Questa politica di odio raggiunse il suo culmine nella cosiddetta “soluzione finale della questione ebraica” escogitata dai nazisti. Il piano comprendeva la creazione di veri e propri centri di sterminio dove detenere, torturare e uccidere le persone reputate ed etichettate come minaccia per il popolo tedesco (ebrei, rom, disabili, slavi, dissidenti politici ecc. ecc.). Si stima che, in quegli anni, furono ammazzati 15-17 milioni di esseri umani.


Molti storici lo ritengono un evento imparagonabile, a causa della durezza e dell’ossessiva meticolosità applicata per uccidere milioni di persone. Inoltre, il silenzio della popolazione dell’epoca, unito all’enorme menzogna nazista (che negò l’esistenza e/o i reali fini dei campi di concentramento e cercò di nasconderne ogni informazione), furono elementi cruciali per la legittimazione del regime. Questo periodo nero della storia del ‘900 ha ancora oggi una risonanza presente nella cultura di tutti i Paesi coinvolti dalla Seconda guerra mondiale. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, redatta nel 1948 a conflitto ormai concluso, ritiene il riconoscimento e il rispetto della dignità umana fondamento per la pace nel mondo.

Tuttavia, questa pace, è stata mai raggiunta?

“L’ipotesi secondo cui i responsabili dell’Olocausto rappresentano una ferita o una malattia della nostra civiltà e non il suo prodotto terrificante ma coerente sfocia non soltanto nella consolazione morale dell’autoassoluzione, ma anche nella tremenda minaccia dell’inerzia morale e politica. Tutto è avvenuto «fuori di qui», in un altro tempo e in un altro paese.”

Zygmunt Bauman, Modernità e olocausto, 1989

La cinica pianificazione con cui è stato messo in atto lo sterminio di milioni di persone per mano nazista è indubbiamente atroce e disumana, ma non è stato l’unico caso del Secolo Breve: l’Olocausto, probabilmente il più menzionato nella storia, è solo uno dei molteplici genocidi compiuti in varie parti del globo in nome di un dogma.

Il secolo dei campi

Nel XX secolo il metodo dei campi, utilizzato per detenere migliaia di essere umani, fu attuato da svariate autorità. Basta pensare alla guerra ispano-cubana del 1896, quando l’esercito spagnolo fece unriconcentramento” della popolazione cubana. Oppure al 1899, anno in cui gli inglesi, imitando le modalità spagnole, idearono i campi di detenzione in Sudafrica, durante la seconda guerra anglo-boera. Altro esempio furono i campi di lavoro russi, utilizzati già nell’epoca zarista e, successivamente, riportati in auge da Lenin nel 1918 e istituzionalizzati nel 1930 con il nome di Gulag. Ulteriormente, è impossibile non menzionare i Laogai, i campi di lavoro cinesi. Scendendo nello specifico, la Cina utilizza il lavoro forzato come tortura da oltre 2.500 anni e, nel periodo nazionalista del governo Mao Zedong (1945-1976), i Laogai furono utilizzati ampiamente per reprimere le opposizioni politiche. Oltre alle persecuzioni ai dissidenti, in particolare a partire dai primi decenni del Novecento, nel nord ovest del paese, sono state attuate una serie di azioni discriminatorie nei confronti della popolazione dello Xinjiang.

Lo Xinjiang

Lo Xinjiang è una regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese, situata al margine occidentale del paese (confina con la Mongolia, la Russia, il Kazakistan, il Kirghizistan, il Tagikistan, l’Afghanistan, il Pakistan e il Kashmir Indiano), dove vivono da secoli gli uiguri. Questa etnia, a differenza della maggior parte della popolazione dell’intera nazione, è turcofona e di religione islamica.
Nei primi anni trenta del secolo scorso ebbe inizio lo scontro con il governo cinese che portò, nel 1933, alla nascita della Prima Repubblica del Turkestan Orientale (che ebbe tuttavia vita breve). La guerra tra le due fazioni continuò fino al 1944, anno in cui, grazie all’aiuto sovietico, gli uiguri riuscirono a fondare la Seconda Repubblica del Turkestan Orientale, ma nuovamente l’esperienza durò poco e, nel 1949, l’Esercito Popolare di Liberazione prese il potere sul territorio. A partire da
 quel momento, sono state perpetuate molteplici torture nei confronti della popolazione locale, che coabita il territorio con i cinesi Han.

Il presente

Nel 2017 il giornale Wall Street Journal, in un suo articolo, dichiara che lo Xinjiang è uno dei luoghi più sorvegliati al mondo e gli abitanti del posto sono vigilati, registrati e controllati costantemente dalla polizia. Negli ultimi anni si è ulteriormente rafforzata la supervisione nei confronti degli uiguri e, in particolare dal 2013 (anno in cui Xi Jinping è diventato Presidente della Repubblica Popolare Cinese), questa etnia è pubblicamente ritenuta e classificata come pericolosa in virtù di un’ipotetica radicalizzazione religiosa e, quindi, considerata potenzialmente dannosa per la nazione.
La discriminazione nei confronti degli uiguri viene tutt’ora giustificata da una campagna antiterrorismo, paragonata dal governo cinese alle pratiche degli USA, soprattutto dopo l’attacco dell’11 settembre.
Nella pratica, esiste una rete di campi in Cina definiti di “trasformazione attraverso l’educazione”, in cui vengono deportate arbitrariamente, ogni anno, migliaia di persone costrette a subire una coercizione non solo fisica, ma anche culturale: una delle pratiche che i prigionieri sono obbligati a svolgere è quella di cantare ripetutamente inni patriottici cinesi, minacciati di essere ulteriormente puniti in caso di rifiuto.

Il 16 novembre 2019, il New York Times pubblica dei documenti riservati del governo di Pechino, che aggiungono agghiaccianti dettagli sulla detenzione degli uiguri da parte del regime comunista.
Dai documenti si evincono alcuni discorsi governativi, sostenuti dal presidente stesso, in cui si promuove una dura e radicale “lotta antiterrorismo”.
 Xi Jinping è aiutato, dal 2016, dal capo della regione dello Xinjiang, Chen Quanguo, che ha placato la resistenza del posto uccidendo cittadini e funzionari del luogo, ritenuti sospetti. Oltre alla popolazione residente anche i fuori sede, specialmente gli studenti, sono presi di mira dal regime.

Alcuni dei documenti leakati
“Dov’è la mia famiglia?”

I ragazzi, tornati nelle loro case native, spesso si ritrovano isolati dalle loro famiglie. Gli studenti, rientrati nello Xinjiang dopo i semestri universitari, vengono accolti da un gruppo di delegati del partito cinese. I funzionari sono istruiti a rispondere alle domande degli ancora ignari figli dei detenuti, tipo: “quando verranno rilasciati i miei genitori?”.
Le cause delle deportazioni, principalmente, hanno matrice religiosa: i funzionari motivano le reclusioni riferendo agli studenti che “i loro familiari sono diventati estremisti religiosi, infettati dal radicalismo islamico”. I ragazzi, abbandonati e lasciati soli, si ritrovano costretti ad accettare passivamente questo tormento, minacciati di essere anch’essi reclusi in quelle “strutture rieducative”, dove la libertà e la dignità dell’individuo viene calpestata quotidianamente. Ulteriormente, viene consigliato loro di “non alimentare polemiche e comportarsi diligentemente”, con la fittizia promessa di una riduzione dei tempi della pena dei parenti.

Nella parte sottolineata: “Sono sicuro che supporterai i tuoi parenti: devi farlo per il loro bene, e anche per il tuo.”

 

“War on fear”

A differenza del passato, internet ci offre la possibilità di essere connessi a livello globale, creando uno scambio internazionale di informazioni. Minoranze oppresse provano a creare dei ponti di solidarietà, oltrepassando i confini nazionali. Il 17 settembre 2019 viene pubblicato su YouTube un video, dal canale “War on Fear战斗恐惧, in cui vengono mostrate centinaia di persone in ginocchio, bendate e circondate da poliziotti del regime comunista cinese.

A dimostrare la veridicità del video è lo studio di un ricercatore dell’Australian Strategic Policy Institute, Nathan Ruser, pubblicato dal Guardian. Tramite l’analisi di alcuni indizi, viene accertato che il video è stato girato nei pressi di una stazione ferroviaria di Korla, una città dello Xinjang sudorientale. Il governo cinese più volte ha negato la persecuzione arbitraria degli uiguri, ma le varie inchieste pubblicate in questi anni smentiscono le vaghe dichiarazioni del partito.
Freedom House, in un suo studio sull’autorità cinese, dichiara che il leader del PCC, Xi Jinping, ha rafforzato il suo potere sul paese. Il dominio sulla burocrazia statale, sull’università, sui gruppi religiosi, sulle imprese e su tutta la propaganda della nazione da parte del PCC è totale, eliminando qualsiasi obiezione dalla società civile. In Cina, d’altronde, le elezioni non sono libere e competitive tra varie opposizioni: Il National People’s Congress (NPC) elegge formalmente il presidente di stato per un mandato di cinque anni e conferma il premier dopo che è stato nominato dal presidente, ma entrambe le posizioni sono decise in anticipo al congresso del PCC.

La persecuzione da parte del governo nei confronti di minoranze etniche prevalentemente musulmane nello Xinjiang si è intensificata drammaticamente, con circa un milione o più di persone sottoposte a detenzione extralegale in centri di “rieducazione politica”. Nel corso dell’anno sono emersi vari report di torture e altri abusi nei campi. Le autorità hanno anche aumentato la repressione di cristiani e musulmani nei restanti territori della Cina.”

Il report di Freedom House – 2019

La storia, ancora una volta, è soggiogata e scritta con il sangue di popoli che, da secoli, vengono perseguitati da apparati statali trasformati in macchine del terrore.
A differenza del Novecento, però, il mondo nel XXI secolo è interconnesso: nazioni prima isolate adesso possono dar voce alle proprie rivolte e diffonderle in tutto il Globo. Le lacrime, le rivoluzioni, le proteste contro Stati sempre più autoritari diventano attualmente notizie che circolano potenzialmente ovunque. Tuttavia queste tragedie, molto spesso, sono ignorate e dimenticate nel flusso di informazioni che scorre nei media.
La contemporaneità è spettatrice del dolore, restando imprigionata dietro fili spinati e frontiere che dividono la vita dalla morte. Il fantasma nazionalista, il fascismo eterno sembra ancora oggi, seppur con altre denominazioni, ripercorrere le strade della discriminazione, della guerra e dei campi di detenzione.

 

 

McMay
(Artwork: LaCirasa)