L’albatro n.2: “Vento di rubino”

Libertà viene spesso celata dietro un falso quanto ipocrita concetto di “pace”: nel nome di essa si commettono, da sempre, le peggiori azioni contro l’umanità. E’ da qualche giorno, in particolare, che si sente un vento caldo arrivare da oriente: vento di sangue, bombe e guerra. Vento di cattiveria, vento di predatori e prede, vento di violenza. Kobane, Afrin, Suluk, Nisibis. Vento prezioso, vento di rubino. Città sorelle, protagoniste della lotta contro lo Stato Islamico. Lotta dimenticata, tuttavia, poiché le milizie curde sono state completamente abbandonate dalle potenze occidentali, che hanno lasciato sola un’intera popolazione, in balia della violenza turca e degli interessi delle potenze mondiali.

Bombardamenti turchi a Ras al-Ayn (Source: https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2019/10/15/operazione-fonte-pace-scontri-ras-al-ayn/)


Ma andiamo con ordine.

Il 9 Ottobre 2019, il dittatore turco Recep Tayyip Erdoğan annuncia su Twitter l’inizio dell’operazione “Fonte di pace”: un’incursione militare che comprende il territorio (largo 32 km e lungo 444 km) del confine turco-siriano. Questa spedizione ha l’obiettivo di creare una zona “cuscinetto” tra i due paesi, con la dichiarata intenzione di spostarvi tutti i profughi possibili (la Turchia “ospita” circa 3,6 milioni di profughi siriani). Tuttavia, quella zona è conosciuta come Rojava, o Siria del Nord: in altre parole, è il Kurdistan siriano. E, come già specificato in un mio articolo di qualche mese fa  (War is peace, dedicato a Lorenzo Orsetti), la Turchia rappresenta una costante, onnipresente, spaventosa ombra nera nella storia del popolo curdo. Una resa dei conti, per nulla improvvisa, tra nemici di vecchia data.

L’operazione “Fonte di pace” non rappresenta la prima incursione turca nei confronti del popolo curdo. Ci sono due precedenti: l’operazione “Scudo dell’Eufrate”, a sostegno dell’Esercito Libero Siriano e contro ISIS e YPG, e l’operazione “Ramoscello d’ulivo”, completamente votata alla distruzione dell’unità democratica curda. Nulla di nuovo sotto al sole, insomma. Tuttavia, questa operazione rappresenta una novità importante poiché, per la prima volta, l’ISIS non viene minimamente menzionato, anzi: l’attacco dell’esercito turco sta progressivamente favorendo la liberazione di membri del califfato dalle carceri curde, che ringraziano amorevolmente il falco Erdogan.

Al momento, lo Stato islamico non è più uno stato: ha perso terreno, è stato matematicamente sconfitto sul territorio. Nonostante ciò, non significa che si possa dire completamente annientato: ci sono cellule dormienti, membri dell’ISIS pronti a riattivarsi non appena la situazione si capovolga. Ma come si è arrivati a questo punto? Sicuramente un ruolo fondamentale lo ha giocato l’abbandono del campo di battaglia da parte delle truppe statunitensi, annunciato a maggio da Donald Trump e confermato proprio in questi giorni, durante l’offensiva turca. Il presidente americano ha apertamente violato gli accordi tra DASA (Autonomia Autonoma Democratica Curda, dicitura ufficiale per indicare l’area del Rojava), Turchia e Stati Uniti, ritirando le truppe da un’area ancora bollente come quella del Nord della Siria. Questa zona del mondo è, da dieci anni, vittima di interessi economici, politici e strategici che hanno provocato più di un milione (impossibile avere una stima precisa) di vittime civili: esseri umani innocenti, che, come al solito, pagano le durissime conseguenze.

Donald Trump e Recep Tayyip Erdoğan al summit NATO di Bruxelles (Source: https://www.politico.com/news/2019/10/16/trump-erdogan-letter-turkey-048758) (Photo by Sean Gallup/Getty Images)


L’operazione guidata dal sultano turco ha fin da subito assunto dei connotati ben precisi: Erdogan ha immediatamente minacciato l’Europa di “aprire i cancelli” e di provocare un’ondata migratoria senza precedenti se quest’ultima dovesse impedire, in qualche modo, l’offensiva di Ankara. Un ricatto sulla pelle della povera gente: deportazione dei migranti o sostituzione etnica dei curdi, a voi la scelta. Come si può rimanere indifferenti d’innanzi a tutto ciò?

Ecco come: quando le mire politiche si mescolano a quelle economiche, nulla è mai trasparente. Nel 2016, l’Unione Europea stipula un accordo con la Turchia: 6 miliardi di euro in cambio della chiusura della rotta balcanica, che ha portato in Europa più di 2 milioni di persone nel giro di qualche anno. Il che sta a significare: fate ciò che volete, deportate chi volete che a noi non interessa, l’importante è che non facciate arrivare più nessuno. Questo egoismo umanitario da parte dell’Europa, che ha dato fiducia ad uno dei peggiori “uomini forti” del nostro secolo, ha portato al riconoscimento internazionale del potere decisionale di Erdogan. Ma gli interessi vanno oltre questo…

Prendiamo ad esempio il caso italiano. Hanno sede in Turchia: Monte Paschi di Siena, Barilla, Benetton, BNL\BNP, Chicco, Comab, Electrolux, Eni, Ferroli Spa, Fiat, Findomestic, Finmeccanica, Coin, Granit, Indesit, Intesa San Paolo, Iveco, Lombardini, F.I.M, Luxottica, Magneti Marelli, Merloni, Perfetti Spa, Piaggio, Unicredit, Valtur, Veneta Cucine, Bialetti e potrei continuare per altri dieci paragrafi. Per non parlare delle armi: solo nel 2018 il paese italiano ha esportato armi verso la Turchia per un totale di 360 milioni di euro. Dall’altro lato, l’UE è il primo mercato di distribuzione per i prodotti turchi
(42% di scambi commerciali). Sono questi i dati che “motiverebbero” la pazienza di alcuni paesi europei (come la Germania) nei confronti di Ankara.

Nel frattempo, qualcosa aleggia dall’altra parte della barriera: Damasco annuncia lo schieramento del proprio esercito all’interno dell’operazione, al fianco delle forze democratiche curde, lo YPG, contro l’avanzata delle truppe di Ankara. E’ un avvenimento senza precedenti, considerando il conflitto storico (addirittura millenario) tra siriani e curdi. Quest’accordo, tempestivo quanto impensabile, è avvenuto (verrebbe quasi da dire ovviamente) sotto l’ala madre di Mosca, alleato ferreo della compagine siriana, con lo zampino del generale Massoud (anche detto “Leone del Panjshir”, personaggio chiave di questa narrazione, spesso protagonista delle trattative degli ultimi decenni fra la Siria, il Kurdistan, la Turchia e, naturalmente, gli Usa. Ma questa è un’altra storia, ve ne parleremo presto). Al-Assad (il dittatore siriano) coglie la palla al balzo e si allea con i nemici di sempre: questo gli darà l’occasione, più unica che rara, di entrare nei territori curdi senza combattere, anzi: armati, ma contro la Turchia. Almeno per ora.

Gli interessi in campo sono molteplici, la storia di questo conflitto lunghissima: ma cosa sta succedendo realmente al confine curdo? Intendo, cosa sta accadendo veramente? Manbij, Kobane, TellAbyad, Ras al-Ain. Città con una storia millenaria, città piene di vita. Dal giorno in cui è cominciata l’offensiva turca, circa 160’000 persone sono state costrette a fuggire, ma presto rischiano di diventare 400’000: tra questa massa enorme di esseri umani, si stimano esserci circa 70’000 bambini. Decine e decine di civili morti, impossibile avere numeri corretti. Le organizzazioni umanitarie parlano di esecuzioni capitali pubbliche. Ci sono innumerevoli testimonianze del fatto che le truppe di Erdogan abbiano utilizzato armi chimiche come il napalm e il fosforo bianco per contrastare la resistenza curda. L’esercito turco ha “neutralizzato” (si intende cattura o morte) circa 560 tra uomini e donne delle milizie curde, mentre combattevano per la propria terra. Ovviamente, Erdogan nega qualsiasi coinvolgimento civile.
Le “strategie” di guerra, se così possiamo chiamarle, utilizzate dalla compagine turca sono a dir poco deplorevoli: proprio a Ras al-Ayn, a pochi chilometri da Kobane, il 13 ottobre c’è un raid dell’esercito turco. Viene colpito un pulmino carico di giornalisti, due di loro muoiono, un giornalista curdo e un reporter estero non ancora identificato. Sarà contento il falco: è risaputo che le vittime preferite del regime siriano siano, oggi come ieri, le persone incaricate di raccontare la realtà. Nel frattempo, con il solito ritardo, in Europa qualcosa si smuove timidamente, per lo meno con uno “stop agli armamenti” nei confronti della Turchia.

E’ solo l’ennesimo capitolo di una situazione bollente, pronta a riesplodere da un momento all’altro. Quel che è chiaro è che questa non è una semplice guerra: nel Rojava si sta tentando di mettere in atto un vero e proprio sterminio di massa.

P.s. mentre questo articolo veniva stilato, innumerevoli pagine Fb e Instagram nel mondo sono state chiuse per aver seguito la vicenda ed espresso solidarietà nei confronti della causa curda.
Il vento di repressione e censura è arrivato, ormai, su tutti i vostri schermi.

Mister O
PH by Pio