Amore liquido

Leonia è una città, o meglio, una città che non si vede. Fa parte delle cinquantacinque città immaginate e descritte da Italo Calvino nel suo romanzo Le città invisibili (1972). Soprattutto, però, Leonia è simbolo di una società squilibrata, travolta da una schizofrenia consumistica spietata.
I cittadini di Leonia comprano, consumano e sprecano molto più di quanto abbiano effettivamente bisogno. Essi sono accecati dal “nuovo” e animati da un desiderio inesauribile che li spinge a ricercare piaceri effimeri e momentanei, impossibili da afferrare in maniera definitiva. I cittadini di Leonia gettano oggetti obsoleti per sostituirli con altri nuovi e la conseguenza più immediata di tutto questo è una montagna di rifiuti che rischia di travolgere l’intera città.

 

«La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra le lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammenti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall’ultimo modello d’apparecchio».

Le città invisibili

La metafora elaborata da Calvino di una città sempre nuova, che elimina tutto ciò che appartiene al giorno precedente, è efficace, ma allo stesso tempo drammatica: ci spinge a riflettere sulle città contemporanee, non invisibili come Leonia, ma reali e tangibili. Le società consumistiche, infatti, basate su una produzione continua e frenetica di qualsiasi tipo di oggetto, attraverso la pubblicità, ci inducono continuamente a comprare, consumare e comparare nuovamente, in un circolo vizioso senza fine. Questa possibilità di rinnovarsi ogni giorno si configura come il vero piacere che i cittadini ricercano per essere felici.

La velocità che caratterizza la postmodernità rende tutto obsoleto nel giro di poco tempo, così che rincorriamo continuamente una felicità irreale, che ci sfugge di mano non appena la stiamo per afferrare, continuando così la nostra corsa inesorabile verso il nulla.

 

Leonia by Lorena Udler
(source: https://www.pinterest.it/pin/291256300876618589/)

 

Come sottolineato da Zygmunt Bauman (1925-2017), sociologo e filosofo polacco, nell’immaginaria città di Leonia, metafora della postmodernità e del consumismo che la caratterizza, la felicità è misurata in base alla quantità di merci che vengono gettate via per essere sostituite.
Nell’epoca dell’insicurezza, il rischio più grande, per un individuo, è lo sfaldamento della propria identità.

Dunque, l’uomo contemporaneo compra continuamente oggetti al fine di sfuggire alla morte della sua identità e per sentirsi parte attiva della società, evitando così la sensazione di insignificanza che come un’ombra, dietro le nostre spalle, minaccia continuamente la nostra vita. Proprio nel momento in cui la nostra vita risulta essere caratterizzata da una perpetuità di nuovi inizi, crediamo di aver raggiunto la felicità.

Come sottolineato sempre da Bauman, la città di Leonia è anche la metafora più efficace per descrivere l’ambiguità che caratterizza le nostre vite: siamo desiderosi di instaurare legami e relazioni, ma allo stesso tempo preoccupati e spaventati che questi si stabilizzino una volta per tutte.

Libertà e sicurezza, infatti, sono i valori che caratterizzano la società postmoderna. Entrambi sono necessari, ma si trovano in un rapporto di antitesi tra di loro: il prezzo da pagare per sentirsi liberi è sentirsi meno sicuri, il prezzo da pagare per sentirsi al sicuro è quello di essere meno liberi.
Libertà e sicurezza sono le due ossessioni della sensibilità contemporanea, si tratta di un conflitto insanabile che può trovare soluzione solo in un precario equilibrio tra le due parti, comunque difficilmente raggiungibile.

Il desiderio di sicurezza e il desiderio di libertà, uniti in un’insanabile contraddizione, caratterizzano ciò che Bauman ha definito “Amore liquido”, conteso tra la necessità di stabilità e la conseguente paura di un legame duraturo che comporta, inevitabilmente, una diminuzione di libertà e l’introdursi nelle nostre vite dello spettro della routine.

Nella società consumistica contemporanea la routine e l’abitudine sono ciò che non riusciamo a tollerare, essendo stati abituati fin da bambini ad avere a che fare con oggetti usa e getta, da sostituire velocemente una volta divenuti obsoleti.

Non siamo abituati a godere delle cose durevoli, frutto di impegno costante e lavoro meticoloso.

Dunque, l’uomo senza legami, o meglio l’uomo incapace di instaurare legami duraturi, è il perfetto ritratto dell’uomo contemporaneo, plasmato da quella che Bauman ha definito “modernità liquida”, quel periodo storico che inizia negli anni ’60, permeato da una fragilità e un’instabilità che investe ogni ambito della società, dalle istituzioni alle relazioni personali, fino alle stesse emozioni.

Nulla in questo contesto è destinato a durare per sempre: gli oggetti e le persone utili oggi, diventeranno rifiuti di domani.

Zygmunt Bauman (source: https://biografieonline.it/biografia-zygmunt-bauman)

Bauman, infatti, meglio di chiunque altro ha saputo individuare ed interpretare il cambiamento drastico che ha attraversato la società, che da solida e rocciosa come sembrava nell’epoca industriale, si è ritrovata nel XXI secolo caratterizzata da un’instabile fragilità. Bauman, inoltre, sostiene che l’incertezza caratterizzante la postmodernità deriva dalla convergenza del produttore con il consumatore. Tutto ciò ha provocato, nel corso dei decenni, lo smantellamento delle sicurezze, la globalizzazione, l’industria della paura e la trasformazione della realtà, in una società liquida, fragile, che ci costringe continuamente ad adeguarci al contesto che ci circonda, proprio come un liquido che, non dotato di una forma propria, assume la forma del recipiente che lo contiene.  

Se decidiamo di non adeguarci, di assumere la forma che noi stessi decidiamo consapevolmente, allora inevitabilmente siamo gli esclusi, i reietti della società.   

E’ in questo contesto liquefatto che Bauman parla di “Amore liquido”, un amore che non può consolidarsi perché incentrato su un’antitesi tra la necessità di stabilità e la paura di schiavitù. Infatti, in un contesto di questo genere, uomini e donne sentono il bisogno di una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, ma allo stesso tempo sono timorosi di rimanere impigliati in relazioni che richiedono impegno e che limiterebbero fortemente la loro libertà.

Nell’età dell’insicurezza, infatti, non è solo la solitudine a generare ansia, ma anche la paura di instaurare una relazione. In un legame sentimentale cerchiamo sicurezza in qualcuno che ha il nostro stesso obiettivo, ma che, proprio come noi, potrebbe decidere in qualsiasi momento di cambiare l’oggetto del suo desiderio. Noi siamo tacitamente consapevoli di questo, e inevitabilmente provoca in noi una sensazione d’incertezza che non ci rende totalmente felici.
Quando le persone si trovano in questa situazione, come afferma Bauman:

 

«(…) tendono a comportarsi in modo non costruttivo, tentando o di compiacere o di controllare o forse addirittura venendo alle mani – tutti sistemi che probabilmente non fanno altro che allontanare la persona amata. Una volta insinuato il tarlo dell’insicurezza, la navigazione non è mai sicura, ragionata, tranquilla. Senza timone, la fragile zattera della relazione ondeggia sui due nefasti scogli su cui tanti rapporti si infrangono: sottomissione totale e potere totale, accettazione supina e prevaricazione arrogante, rinuncia alla propria autonomia e distruzione dell’autonomia del partner. L’infrangersi contro uno qualsiasi di questi scogli farebbe affondare finanche una nave in perfette condizioni e con un equipaggio esperto, figuriamoci una zattera con a bordo un marinaio inesperto che, cresciuto nell’epoca dei pezzi di ricambio, non ha mai imparato l’arte della riparazione. Nessuno dei marinai di oggi perderebbe tempo a riparare la parte danneggiata, ma la sostituirebbe con un’altra identica».

Amore liquido: sulla fragilità dei legami affettivi

 

L’amore richiede tempo ed energia. Oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato complicato, soprattutto all’interno di una società che privilegia l’individualismo rispetto all’altruismo.
In una cultura consumistica come la nostra, che predilige soluzioni rapide, soddisfazioni immediate, risultati senza troppa fatica, ricette infallibili e prodotti “usa e getta”, quello di imparare ad amare è il traguardo più difficile da raggiungere. In ogni tipo di amore sono coinvolti nella relazione almeno due esseri, uno dei quali è la grande incognita nell’equazione dell’altro, e non si può pensare di amare un individuo non considerando questo. Amare significa mettere l’altro in una posizione di vantaggio, anche se non possiamo avere la piena sicurezza che l’altro rappresenti l’incognita giusta in grado di risolvere la nostra equazione.

Insomma, amare significa avere a che fare con l’incertezza, con il destino, ma allo stesso tempo significa accettare la libertà dell’altro e avere piena consapevolezza della nostra. Solo in questo modo sicurezza e libertà possono convivere insieme, solidificandosi, in un’età dove tutto è liquido e potrebbe scivolare in qualsiasi momento dalle nostre mani.

Prix
(PH LaCirasa)