Nasrin Sotudeh e Shirin Ebadi: due nomi che fanno paura

Nell’ultimo mese, il nome di Nasrin Sotoudeh e il suo coraggio sono saltati agli occhi in tutto il mondo a causa dell’assurda condanna inflitta, nei suoi confronti, da parte del tribunale islamico iraniano.

Ma chi è precisamente Nasrin Sotoudeh?

Nata il 30 maggio 1963 a Langrud, in Iran, Nasrin è una donna e un’avvocatessa iraniana militante per i diritti umani e vincitrice nel 2012 del Premio Sakharov, istituito dal Parlamento europeo allo scopo di premiare uomini, donne e organizzazioni che abbiano dedicato il loro impegno per la difesa della libertà individuale. Infatti, è proprio a causa del suo attivismo per la difesa dei diritti umani che Nasrin è stata condannata il mese scorso (nel marzo 2019) dal tribunale islamico di Tehran a 33 anni di carcere e a 148 frustate. Quest’ultima sentenza si aggiunge ad un’altra condanna emessa nel 2016, in seguito ad un altro processo irregolare, per un totale di 38 anni di prigionia.

La colpa di Nasrin?

Essersi opposta all’applicazione di una nota aggiuntiva all’articolo 48 del codice penale iraniano, in base al quale si nega il diritto di nominare un avvocato di fiducia alle persone imputate di determinati reati. Gli imputati, dunque, possono scegliere il proprio avvocato solamente se quest’ultimo è presente all’interno di una lista compilata dal Capo del potere giudiziario (ad esempio, per la provincia di Teheran gli avvocati approvati sono solamente venti).
Probabilmente, però, la cosa più sconcertante è che tra i vari capi d’accusa espressi dal tribunale islamico di Teheran nei confronti dell’avvocatessa iraniana figurano espressioni bizzarre come «propaganda contro lo Stato», «collusione contro la sicurezza nazionale» e «istigazione alla corruzione e alla prostituzione».

Nasrin Sotoudeh (fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2019/03/12/news/iran_condannata_a_38_anni_e_148_frustate_l_avvocatessa_paladina_dei_diritti_umani-221318882/)

 

Nasrin è stata condannata perché ritenuta «pericolosa per la sicurezza dello stato»: una locuzione molto generale attribuita dal governo iraniano a chiunque accenni un dissenso nei confronti del regime. Un dissenso ritenuto così forte da dover essere necessariamente fermato.
Sono ormai decenni, infatti, che l’avvocatessa iraniana è attiva nella difesa di donne e bambini maltrattati e nella difesa di minori che, accusati di reati come «atti di violenza» o «consumo di sostanze stupefacenti», vengono spesso puniti con la pena capitale.

L’Iran, infatti, è attualmente l’unico paese al mondo a condannare a morte minorenni al momento del reato. Nasrin combatte affinché queste condanne così feroci nei confronti di minori siano abolite.

La forte spinta propulsiva caratterizzante della sua carriera da attivista la porta a conoscere Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003 e prima donna giudice in Iran. Shirin ha descritto Nasrin come «uno dei pochi coraggiosi avvocati difensori dei diritti umani rimasti, che ha accettato qualsiasi rischio per difendere le vittime delle violazioni di diritti umani in Iran».

Shirin Ebadi, nata il 21 giugno 1947 ad Hamadam, si laureò in legge nel 1969, diventando la prima donna giudice in Iran. La pacifista iraniana ha focalizzato il suo impegno principalmente nel modificare le leggi in favore del genere femminile ed eliminare, dunque, quel regime oscurantista in cui il valore della donna non viene riconosciuto.

 

«Dal giorno in cui ero stata privata dalla possibilità di essere giudice, agli anni in cui avevo lottato nei tribunali rivoluzionari di Teheran, mi ero sempre ripetuta un ritornello: una interpretazione dell’Islam che sia in armonia con l’uguaglianza e la democrazia è un’autentica espressione di fede, non è la religione a vincolare le donne, ma i precetti selettivi di chi le vuole costrette all’isolamento.»

Shirin Ebadi

 

 

Shirin Ebadi (fonte: https://www.rafto.no/the-rafto-prize/shirin-ebadi)

 

A causa del suo forte contrasto al regime, Shirin è considerata una donna “scomoda” e “pericolosa”.
Il governo iraniano, infatti, dopo aver sottoposto a tortura suo marito e sua sorella, le ha sottratto ogni bene posseduto, perfino la medaglia per il Nobel. Oggi Shirin è costretta a vivere in esilio in un luogo sconosciuto, ma continua la sua battaglia per l’uguaglianza di genere in tutti quei luoghi del mondo in cui i diritti delle donne vengono calpestati quotidianamente.

Nasrin e Shirin sono due donne simbolo, brillanti studiose di diritto che hanno dedicato la loro vita alla difesa dei diritti umani. Entrambe si sono impegnate e continuano ad impegnarsi per modificare le leggi che calpestano la dignità femminile, spingendo i tribunali iraniani a dare risposte non ideologiche, ma legate ai singoli casi e stigmatizzando tutte le interpretazioni del Corano in contrasto con il valore della figura femminile. Sono due donne che, coraggiosamente, si oppongono all’integralismo islamico e al regime, combattendo in prima linea per difendere i più deboli, al fine di creare un Iran migliore, più equo e giusto, per tutti.

Attraverso la loro vita e il loro attivismo, ci ricordano che non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti, non dobbiamo ignorare ciò che accade in paesi geograficamente lontani dal nostro.

La violazione dei diritti umani è qualcosa che ci riguarda sempre in prima persona, sebbene non ne siamo direttamente coinvolti e sebbene stia accadendo in luoghi lontani. Tutti i regimi e tutti i paesi sono sensibili alle pressioni internazionali, benché a volte facciano finta di non ascoltare. Proprio per questa ragione è necessaria una presa di posizione, una condanna netta da parte dei paesi più sviluppati e una mobilitazione internazionale affinché siano liberati tutti coloro che combattono per la difesa dei diritti inalienabili.

La condanna di Nasrin, avvenuta nel marzo scorso, rappresenta una grave ferita per tutti noi.
Si tratta però di una ferita tristemente riscontrabile anche in altri paesi, con cui l’Italia e l’Europa intrattengono buoni rapporti: basti pensare all’Egitto, dove Giulio Regeni è stato torturato e ucciso; o alla Libia, dove le prigioni (chiamarle in questo modo risulta quasi un eufemismo), gestite dai gruppi armati di Fayez Al Sarraj, alleato dell’Italia nel contenimento dei flussi migratori, sono scenario di terribili abusi e torture.

È chiaro che, per quanto concerne gli accordi internazionali, pesano importanti interessi economici, ma non è accettabile che la difesa dei diritti umani sia subordinata a quest’ultimi.
Si tratta di una situazione alla quale non possiamo adeguarci, poiché difendere Nasrin e Shirin significa difendere tutti noi.

 

Prix
(ph Pio)