Il futuro perduto

Karl Valentin, attore teatrale tedesco vissuto tra fine Ottocento e inizio Novecento, affermava in una sua celebre battuta che «una volta il futuro era migliore». Non il passato, bensì il futuro, o meglio la speranza per costruire un futuro migliore rispetto ad un presente che si percepiva oscuro e problematico. Adesso, non solo il presente risulta insopportabile, ma anche la speranza di un futuro miglioramento sta lentamente svanendo.

Di questa situazione così labile e allo stesso tempo preoccupante non possono che risentirne principalmente gli adolescenti. Essi rappresentano, per loro stessa essenza, la massima progettualità possibile verso il futuro, ma se questo futuro si presenta buio, senza alcuna opportunità, è chiaro che la conseguenza più immediata sia il senso di impotenza che pervade ogni ragazzo nato nel XXI secolo.

Nel 2012 la psicologa americana Jean M. Twenge, esperta di differenze generazionali, ha iniziato a studiare gli adolescenti della cosiddetta generazione Z  (generalmente circoscritta tra i nati tra il 1997 e il 2010). Confrontando i dati raccolti negli ultimi 40 anni, la psicologa ha evidenziato che gli adolescenti sono, oggi, maggiormente depressi e meno inseriti nell’ambiente scolastico o lavorativo, rispetto ai loro genitori o ai loro nonni. Inoltre, tendono a trascorrere meno tempo con gli amici, ad impegnarsi in una relazione sentimentale o anche solo a dedicarsi ad uno sport o hobby. Gli adolescenti degli anni 2000 vengono considerati forti, ma allo stesso tempo molto insicuri, spensierati e contemporaneamente tormentati, tendenzialmente insoddisfatti e privi di riferimenti o certezze.

(fonte Alley Oop – Il Sole 24 Ore)

Sebbene solitamente i grandi cambiamenti generazionali (anche quelli più drastici) tendano a manifestarsi gradualmente, attualmente, invece, è in corso una mutazione antropologica fondamentale, spinta principalmente da due fattori che, come sottolineato dalla studiosa americana, sono lo smartphone e l’ossessivo utilizzo dei social network. Infatti, se per la generazione precedente (la generazione Y) l’avvento di internet rappresentava qualcosa di straordinario e completamente nuovo, per la generazione Z appare come qualcosa di pressoché normale, essendo nati in un contesto completamente digitale. Gli adolescenti degli anni 2000 sono sicuramente più aperti al mondo rispetto alle generazione precedenti, ma anche più ansiosi e paradossalmente infelici.

Tuttavia, non ritengo esatto considerare unicamente lo sviluppo tecnologico il fattore determinante di questo cambiamento generazionale così forte. A mio parere, invece, ciò che caratterizza maggiormente l’epoca attuale, determinando cambiamenti così evidenti, è la totale assenza di speranza per un futuro migliore.  

Il futuro appare minaccioso, qualcosa di prestabilito, una provvidenza nella quale ognuno di noi si sente completamente in balia. A differenza di quanto accadeva nei secoli precedenti, lo slancio fiducioso verso l’avvenire e la convinzione di poter incidere sul proprio destino sta venendo meno.

La storia dell’umanità è da sempre animata da questo slancio ottimistico verso il futuro e dall’esigenza di un mondo migliore, senza disuguaglianze, senza sfruttamento o miseria.
Questa necessità, che spesso si rivela quasi utopica, è ciò che conferisce senso ad ogni istante del nostro presente.

Ci impegniamo in qualcosa per rendere migliore il nostro viaggio, più piacevole da percorrere e più sereno. È un sogno che dà senso alla realtà e che, per questa ragione, è fondamentale per l’animo umano. La politica stessa era animata da questa necessità: ribellioni mosse da grandi ideali, proteste animate dalla richiesta di libertà e diritti.

Si sentiva la necessità di combattere per rendere il mondo più umano.

Oggi tutto questo è in crisi, anzi, probabilmente sta già morendo. I progetti politici attuali tendono a proporre soluzioni veloci e semplicistiche per risolvere situazioni complesse che andrebbero analizzate alla radice, non superficialmente. Si tende a voler “tappare i buchi”, invece di individuare e risolvere tutte quelle contraddizioni che si cerca inutilmente di nascondere. A questo punto è giusto chiederci: cosa ci è rimasto da sperare? Poche opportunità, pochi lavori dignitosi, poca solidarietà, poca uguaglianza, poco merito, poco rispetto, poca intelligenza..

Ed è proprio la generazione Z che ha ereditato questa deprimente prospettiva. Gli adolescenti si sentono rassegnati alla situazione che li circonda, impotenti di fare qualsiasi cosa per cambiare lo stato dei fatti o anche solamente per realizzare le proprie ambizioni o i propri desideri.

Al senso di ribellione si sostituisce la rassegnazione e al desiderio di libertà, la dipendenza.  

A questo punto ritengo che, piuttosto che giudicare gli adolescenti e parlare di “gioventù bruciata”, sia giusto riflettere sul mondo che ci avete consegnato: una società che mette fretta, che dobbiamo rincorrere per sperare di poter essere felici; un mondo nel quale il senso di soddisfazione appare come qualcosa di irraggiungibile così come l’idea di trovare un lavoro dignitoso.

Una vita in cui l’apparenza ha un peso preponderante, anche a discapito del merito.  

Proprio per questa ragione, appare naturale che un adolescente, avendo appena iniziato a guardare il mondo esterno con i propri occhi, si senta soffocato da tutto ciò. Allora cerca di scappare, evadere, ritirarsi in solitudine e cercare un posto nel quale essere realmente se stesso, senza maschere e senza giudizi, per sfuggire alle etichette imposte proprio da coloro che hanno lasciato il presente così vuoto e privo di futuro.

 

Prix
(PH Pio)