Solipsia Whispers: “Educazione Siberiana – Gabriele Salvatores”

“Dobbiamo avere rispetto per tutte le creature viventi. Eccetto che per la polizia, la gente che lavora nel governo, i banchieri, gli usurai e tutti quelli che hanno il potere del denaro e sfruttano le persone semplici. Ti dico, rubare a queste persone è permesso.”

 Nonno Kuzja

Con questa affermazione ha inizio “Educazione Siberiana”, pellicola del 2013 diretta da Gabriele Salvatores, tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Nicolai Lilin.
A pronunciarla è Nonno Kuzja, un uomo anziano che prova ad indottrinare i suoi nipoti, tra cui il piccolo Kolyma (Piede scalzo). La pellicola narra di una piccola comunità di siberiani deportati nel sud della Russia dal regime staliniano e della loro etica di “onesti criminali”: sono pronti a tutto pur di portare avanti le proprie idee anarchiche ed egualitarie.

Nonno Kuzja ha già combattuto le sue battaglie e, con l’età che avanza, è pronto a passare il testimone ai suoi nipoti: tuttavia, l’educazione siberiana è molto rigida, impone regole restrittive come l’abolizione delle droghe o il divieto di tenere il denaro in casa. Regole a cui uno dei nipoti, Gagarin, non è disposto a rinunciare così facilmente. Quest’ultimo, successivamente, diviene definitivamente un traditore, nel momento in cui entra nel Seme Nero: un’organizzazione criminale potente e capillare, ma considerata moralmente inferiore dai siberiani, poiché hanno ormai infranto qualsiasi regola e tabù.

La situazione peggiora quando Gagarin violenta Xenja, giovane donna affetta da ritardo mentale, arrivata da poco nella comunità, ma da subito entrata in amicizia con i nipoti di Kuzja.
Un altro insegnamento del nonno, infatti, è quello di rispettare i pazzi più di qualunque altra categoria sociale”, come suggerisce a Kolyma durante uno dei suoi discorsi:

 

“La gente li chiama matti, pazzi, anormali, solo perché non capisce quello che pensano e dicono. Ma la loro lingua è la lingua di Dio. Per questo noi li chiamiamo “Voluti da Dio”. E dobbiamo rispettarli, tutti. A nessuno è permesso di toccarli, neanche con un dito; ed è a noi che spetta proteggerli. Anche a costo della nostra vita.”

 

Nonno Kuzja, interpretato da John Malkovich

Tocca dunque a Kolyma il compito di difendere gli ideali tramandati dal nonno, anche a costo di doversi scontrare con il suo stesso sangue: quello di suo fratello.

Gran parte della critica ha premiato Educazione siberiana sul piano registico, ma ha evidenziato numerose falle dal punto di vista della sceneggiatura. Memorabile, ad esempio, la scena in cui i nipoti di Kuzja girano sulla giostra accompagnati dal sottofondo di Absolute Beginners di David Bowie, un po’ meno memorabile il finale del film che lascia la storia “appesa ad un filo”.
Resta comunque molto buono il lavoro di Salvatores, anche per l’intuizione di puntare su un cast interamente composto da attori lituani e soprattutto alla prima esperienza cinematografica. L’andamento altalenante del film, che si muove liberamente nel tempo tra passato, presente e futuro, favorisce la carica espressiva di scene brevi, ma molto incisive.

Al fianco del regista ha lavorato Nicolai Lilin, lo scrittore del romanzo da cui è tratto il film. Presenza obbligata quella dello scrittore durante le riprese, visto che quello di Lilin è un romanzo autobiografico: egli racconta la sua esperienza diretta nella comunità criminale di origine siberiana (chiamati Urka), dopo la deportazione ad opera del regime di Stalin. In particolare, egli scrive del suo vissuto in Transinistria, regione dell’ex Repubblica Socialista Sovietica Moldava (oggi Moldavia), autoproclamatasi indipendente nel 1990, ma non riconosciuta da nessuno Stato.

La comunità di cui faceva parte era regolata da leggi interne, non scritte, ma rigidamente osservate, come i divieti assoluti di stupro e strozzinaggio. Lo spaccio di stupefacenti, i furti, le rapine e gli omicidi erano consentiti solamente se compiuti nei confronti dello stato e dei ricchi.

 

Gagarin e Kolima, interpretati da Vilius Tumalavicius e Arnas Fedaravicius

In occasione dell’uscita di Educazione siberiana è stata messa in dubbio la veridicità delle storie narrate nei romanzi di Lilin, visto che lo stesso autore ne afferma la natura autobiografica.
In particolar modo è stata smentita l’esistenza stessa degli Urka, che non sarebbero né un’etnia, né una tribù esistente. Lasciano dubbi anche le vicende pseudostoriche che la riguardano, come l’inesistente deportazione di questa popolazione in Ucraina, dal momento che le deportazioni staliniane seguivano il flusso opposto e i deportati venivano trasferiti forzatamente in Siberia, non dalla Siberia.

Tuttavia, Lilin non è stupido né bugiardo, bensì uno scrittore intelligente: filtra le esperienze di vita attraverso l’espediente della finzione storica, così da essere inattaccabile.
I fatti storici citati sono modellati a piacimento dell’autore, tanto che la bellezza del racconto non sta tanto nella verosimiglianza di quest’ultimi, bensì nell’espressione dei concetti anarchici e libertari, vissuti sulla pelle dello scrittore, calato in un contesto storico distorto.

Il grande valore della pellicola di Salvatores e Lilin sta proprio nella messa in luce di minoranze etniche e culturali dimenticate dalla storia e dal mondo. In particolare, quello che più sorprende è la disciplina e gli ideali: mentre i mezzi sono discutibili, il fine è nobile.

I siberiani descritti sono rispettosi verso qualsiasi creatura vivente, ad esclusione di chi fomenta l’odio e la disparità tra classi: i loro bersagli sono i ricchi, i governatori, gli usurai, tutti coloro che usano il potere del denaro per sfruttare le persone semplici. Non saprei dire con certezza se i siberiani abbiano letto Machiavelli, ma nella loro filosofia di vita più che mai, il fine giustifica i mezzi: un fine nobile di pace e uguaglianza, perseguito attraverso una criminalità spietata verso qualsiasi forma di repressione o potere.

La violenza è sbagliata, sempre. Tanto quanto le sporche condizioni di disparità in cui, da sempre, gli esseri umani si auto-ingabbiano. Talvolta, tuttavia, in alcuni di essi bruciano ideali tanto forti e radicati quanto, spesso, perseguitati e demonizzati, che “l’estremismo” si palesa (almeno in apparenza) come una scelta accettabile, fino a diventare l’unica scelta. La burbera comunità dei siberiani raccontata da Lilin e Salvatores ci insegna che tutto è lecito, se si insegue un’idea abbastanza nobile da giustificare gli atti che portano ad essa. La speranza, però, è che (visti i tempi tetri) non si arrivi (o ritorni) così in basso da averne davvero (ancora) bisogno.

T. Supertramp