“Questo mandato mi è stato affidato dal popolo in totale libertà, inoltre, come ho detto durante la mia campagna elettorale, il potere viene da Dio e la voce del popolo è la voce di Dio”.
Gennaio 2017.
A parlare è Jovenel Moise, l’ex imprenditore eletto nel 2017 Presidente della Repubblica semipresidenziale di Haiti.
Interpella un popolo che, a suo dire, lo ha scelto come guida del Paese, sebbene le cose non siano andate esattamente così: se è vero che è stato eletto dal popolo, è altrettanto vero che quel 55% di voti rappresenta solo il 20% degli aventi diritto.
Stiamo parlando di un Paese in cui il 60% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno: 162° per PIL pro capite nominale, 170° per PIL PPA (per parità di potere di acquisto), un paese che non si è mai davvero risollevato dal sisma del 2010.
Un paese spaccato, in cui il divario tra ricchi e poveri è pari alla differenza tra noi ed un pidocchio.
7 Febbraio 2019, il popolo haitiano scende in piazza.
Continua a scendere in piazza dallo scorso Luglio.
Fiumi di persone, impossibile contarle, manifestano con ogni mezzo necessario.
Il malcontento è alle stelle, la fiducia nel presidente, già compromessa, muore; scorrono le immagini, veloci, frenetiche.
Il flusso mediatico costante sembra scandire i ritmi della ribellione.
Esplosioni, spari sulla folla, manifestanti di ogni età uniti contro un governo corrotto che li ha traditi.
E poi, le immagini delle vittime.
Giochi tra giganti schiacciano gli uomini, come sempre.
Guardo il mondo da quassù e contemplo in silenzio.
Voglio consacrare del tempo in nome delle loro vite, dei loro valori.
Come si è arrivati a questo?
Chavez.
Ebbene, Chavez diede vita a Petrocaribe nel 2005 con l’intento di vendere a condizioni assurde il petrolio venezuelano ai piccoli e dimenticati Paesi-isole, al cordone centroamericano e a Cuba, per un totale di 14 Paesi. Il Venezuela assicura forniture di greggio che vengono pagate in due tranche: una parte a prezzo corrente e l’altra parte in una ventina d’anni, ad un tasso tra l’1 e il 2% a seconda degli accordi coi singoli paesi.
Con i soldi risparmiati, i governi possono avere tempo per fare gli investimenti interni di cui hanno bisogno, senza restare soffocati dalle regole di mercato.
Sembra un piano perfetto, ma non è tutto oro (nero) quello che luccica.
Quei soldi destinati ad investimenti interni, finivano in altro.
Un presidente corrotto da compagnie petrolifere.
Sempre la solita storia.
«Kot kob Petro Caribe a?» ossia «Dove sono i soldi di Petrocaribe?».
Queste le grida che si sentono in piazza, tra uno sparo ed un’esplosione. Dopo il terremoto del 2010 il Venezuela aveva condonato ad Haiti il debito petrolifero, arrivato a 395 milioni di dollari; ma, nonostante questo, i conti non tornano: tra il 2006 ed il 2016 sono “spariti” 3,8 miliardi di dollari provenienti dal programma petrolifero.
Non c’è scusa che regga, specialmente davanti a tante persone che vivono in condizioni estremamente precarie.
Il tutto nel silenzio del Venezuela e degli altri partner.
Il dubbio che sorge spontaneo è che Haiti possa essere stata un centro di lavaggio del denaro sporco per gli altri 13 partner e, probabilmente, non solo: gli Stati Uniti si sono spesso immischiati nella politica del posto e hanno ripetutamente tentato di limitare, negli anni, la libertà del Paese.
A questo si aggiunge un prestito milionario proveniente dal Fondo Monetario Internazionale, che ha portato all’aumento (+51%) del prezzo del carburante e dei beni di prima necessità.
La fame, la rabbia, la paura, il senso di giustizia e il desiderio di vendetta si celano nelle urla di ogni abitante del posto.
Se è vero che la voce del popolo è quella di Dio, allora è questo che sta gridando: Giustizia e Vendetta.
Siamo con voi, uniti ovunque dal sangue nero.
Aemeth
(ph T.Supertramp)