Solipsia Whispers: “Odio Pieno – Colle Der Fomento”

ROOTS – LE ORIGINI

Sono passate poche settimane dall’uscita del tanto atteso “Adversus”, l’ultima fatica discografica dei Colle Der Fomento (pubblicata ben 11 anni dopo il celebre “Anima e Ghiaccio”).
Considerando la portata (e l’aspettativa maturata negli anni), non è stata una facile attesa, così come non sono facili i tempi, musicali e non, durante il quale quest’album ha visto la luce. D’altro canto, dalle sonorità ai contenuti, in tutta l’ecletticità che li caratterizza, bisogna avere la personalità, la credibilità e l’esperienza di un gruppo simile per sganciare una granata come Adversus, in un deserto di freschi motivetti dolciastri ed onomatopeici quanto frivoli giri di parole (non me ne vogliano le poche ed originali eccezioni che SI’, SO CHE CI SONO).
E’ in un momento simile che ho scelto di tornare indietro con la memoria (personalmente oltre che musicalmente), per capire da dove arrivano i Colle Der Fomento. Cosa ha dato vita ad un percorso simile, così importante quanto fluido nel tempo, (nella scena come nella mia vita), confluito, ad oggi, nella realtà di ADVERSUS. Perchè il tempo passa, EPPURE (LORO) SONO QUI.
Giù fino alle radici, ho scelto di partire dal principio, dalle origini, a 22 anni dall’uscita del primo disco dei Colle, la pietra miliare conosciuta col nome di “ODIO PIENO”.

“Veniamo dal basso come un gancio al mento.”

No, non ho sbagliato frase. No, non ho neanche sbagliato album. So bene che la frase in questione, contenuta in “Ghetto Chic” succede ODIO PIENO di oltre un decennio, come so bene quanto i due lavori a livello “stilistico” non siano comparabili, come tutti i dischi del gruppo d’altronde.
Quindi?
Cosa la accomuna, (oltre agli autori stessi, ovviamente), al primo progetto dei Colle Der Fomento?
-Veniamo dal basso come un gancio al mento.-
Quando sentii “Odio Pieno” per la prima volta, ricordo di averci collegato subito questa frase. (Ho 25 anni, ovviamente non ho vissuto il periodo d’oro in cui furono pubblicati questo ed altri lavori rimasti nella storia della Doppia italiana. Ammetto di aver conosciuto i Colle durante la mia adolescenza, proprio tramite “Ghetto Chic” ed “Anima e Ghiaccio”, lo stesso anno in cui fu pubblicato. Ne rimasi folgorato, cominciai a scavare a ritroso nella loro discografia fino ad arrivare appunto ad Odio Pieno, quando già ero completamente infottato dagli altri lavori.)
Come dicevo, ricordo di aver pensato subito a quella citazione…
Dal basso. Come un gancio al mento.
Pensai sin da principio che non ci sarebbero state parole migliori per descrivere quell’album: qualsiasi altra definizione sarebbe stata forzata, oltre che superflua.
Ma andiamo per ordine, preciso: quella che sto per scrivere non sarà una vera e propria recensione. O meglio, sarà il ragazzino grezzo, “puro”, infottato e “incontaminato” che ero quando ascoltai questo lavoro, a recensirlo per me.
Detto ciò, si può iniziare.
Immaginate un diciassettenne armato di cuffiette, in un bus notturno per Bologna, rannicchiato su un sedile troppo stretto, con il naso sul finestrino, immerso fra gli odori degli insaccati provenienti da quasi ogni zaino di ogni pugliese che si rispetti ed il russare generale degli aliti fini circostanti.
Lato oscuro.
…Play.
Ricordo che, all’inizio, confusi il respiro affannato dell’intro con il russare del mio vicino di viaggio, tanto da averlo rimesso dall’inizio 3 volte. Che cazzo…
Ogni dubbio si dissolse presto col partire del basso.
“Dooooun, DoDooooun, DoDoooun, DoDooooun….”
Semplice, puro, grezzo, cattivo.
E via col drumming, e il sample.
Semplice, puro, grezzo, cattivo.
Quando mi chiedono, ancora ora, un parere su Ice One, la mia risposta è concisa: è il lato oscuro.
Semplice, puro, grezzo, cattivo.
E, mentre uno degli intro più riusciti della storia andava e nei timpani riecheggiava quel “Colle der fomentooooo” in loop, pensai che quello che stavo per intraprendere sarebbe stato un ascolto non così facile come mi aspettavo, ma allo stesso tempo SEMPLICE, PURO, GREZZO, CATTIVO.
Qualche secondo dopo, la conferma:
“…faccio rap, solo rap, tu ci ridi sopra
ci giochi ma col rap non ci si gioca,
sai che flippo hardcore…”
Solo Hardcore.
Qualche tempo fa mi capitò di leggere qualcosa del Danno, mentre parlava di questo disco. Lessi che, nella realizzazione, si erano ispirati ai Cypress Hill e ai SangueMisto (nel 96-97 entrambi i gruppi cavalcano già la loro onda).
Credo che non avessero, già all’epoca, nulla da invidiare rispetto ai loro “modelli di riferimento”, e già nella seconda traccia si può intuire il perché.
Il disco scorre lento, ridondante, cupo.
Pezzi come “Quello che ti do” o “Quando verrà il momento” lasciavano già intravedere quella maturità artistica a cui ero abituato negli altri lavori, ma capisco già subito che la prima fatica ufficiale dei Colle era esattamente la rappresentazione spiccicata di quello che erano all’epoca. Ragazzi infottati, fomentati appunto, “ingenui” nella loro “freschezza”, ma non stupidi, e soprattutto a metà fra l’essere incazzati e menefreghisti. In poche parole, proprio come, col senno di poi, ricordo e capisco di essere stato all’epoca, ripensandoci…
Alla stessa maniera, è così che il disco “scorre”: articolato nella sua semplicità, pieno e puro nel suo essere grezzo e grezzo e sporco nella sua purezza, quasi confortante nella sua “cattiveria”.
E poi ancora, “PornoRockers” e “Funk Romano”, perchè
“Siam cupi, ma sappiamo prenderci e prendervi bene.”
Ed ancora più giù, mentre il tizio accanto stavolta sovrastava davvero la musica col suo russare gracchioso, ecco “Ciao Ciao”.
Un esperimento quasi, visto con gli occhi di oggi. Il convivere sullo stesso beat di stili opposti. Azzeccato.
Il Danno e la Beffa (Masito all’epoca), insieme a Piotta (prima che scoprisse la mossa del giaguaro, ma dopo essersi “staccato” proprio dall’embrione dei Colle stessi, nella loro precedente formazione “Taverna Ottavo Colle“) e Kaos One (che già veniva da anni di esperienza in campo, rappando sia in inglese che in italiano.)
“Ciao Ciao” è un “manco vi cago” a tutto il resto, e lo si sente pure bene.
-Wappissimo- ricordo di aver pensato.
E ancora, ancora ed ancora.
Rabbia, voglia di dimostrare, di “strappare e scuotere”, quel senso di appartenenza (quello buono) alla propria realtà, alla propria terra, al proprio colle.
“Odio Pieno” è tutto ciò, e molto altro.

Sono metriche lineari e crude, voci non del tutto mature con flow già rimarcati, un grido d’esistenza al mondo di un gruppo di ragazzi semplici, ma che era destinato a diventare storia.
Sembra quasi che già lo sapessero. Sapevano che il conto sarebbe arrivato quando, non a caso, sarebbe stato il momento.
Quel grido che ora viene fuori possente e sicuro, ma che all’epoca era “di stomaco”.
Già da allora, appunto, veniva orgogliosamente DAL BASSO, (proprio come me in quel bus), ma COME UN GANCIO AL MENTO puntava in alto (proprio come me all’epoca e, perchè no, anche ora).
Riot Kid
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