Solipsia Whispers: “La voce della luna – Federico Fellini”

Se la storia del cinema italiano trova nel neorealismo degli anni quaranta le basi per tutta la cinematografia futura, Fellini dimostra al pubblico del grande schermo che si può continuare a fare film di alto livello anche uscendo dalla dimensione del reale.

L’anno di uscita della pellicola è il 1990; siamo lontani trent’anni dall’elegante realtà messa in vetrina con La dolce vita e il regista, seguendo la lezione del cinema surrealista di Bunuel, riesce a scardinare completamente la quotidianità della vita di tutti i giorni, in nome di un racconto immerso in dimensioni oniriche e psicologiche.
In questo film, che rappresenta il canto del cigno del maestro emiliano, possiamo individuare una definitiva rottura con il passato, oltre alla voglia di lasciare un testamento spirituale alla nuova generazione. Generazione che non si identifica più con il cinema dei padri, bensì è curiosa di sperimentare modalità inedite di racconto.
Dunque è proprio Fellini, tre anni prima della sua morte e in una fase di anzianità avanzata, che riesce a trovare la lucidità di interpretare le tendenze del cinema contemporaneo meglio di qualunque altro cineasta affacciato sulla scena in quegli anni.

In primo luogo, il regista scardina qualsiasi unità di tempo e spazio.

Lo spettatore è immerso nel flusso di coscienza dei personaggi ed è invitato a rendersi partecipe delle loro sensazioni e dei loro sentimenti. Non esiste né presente né passato: tutti gli eventi si fondono su di un asse temporale indefinito, in cui l’unica coordinata esatta è la totale prevalenza della notte rispetto alle altre parti della giornata.
Anche lo spazio segue la stessa logica: in molte scene vediamo una campagna immensa in cui l’unico punto di riferimento fornito allo spettatore è un pozzo, da cui il protagonista dice di sentire la voce della luna.

Il film comincia con un’inquadratura ad alto contenuto spettacolare, che sembra richiamare Il viandante sul mare di nebbia di Friedrich: il protagonista è immerso in un paesaggio visionario, vagando nel vuoto come se fosse disperso e alienato dal resto del mondo.
All’interno di questa dimensione (a)temporale, sono i personaggi ad animare la scena. Parole, pensieri, speranze, paure che vengono messe totalmente a nudo come in un sogno.
Uno dei grandi meriti della riuscita del film è, quindi, da attribuirsi alle interpretazioni dei due attori principali: Paolo Villaggio e Roberto Benigni (rispettivamente il prefetto Gonnella e Ivo Salvini).


E’
 proprio quest’ultimo il protagonista della vicenda (quello col cognome antipatico).
Calato in una dimensione onirica, Ivo sembra bazzicare tra un sogno e l’altro, mettendo in evidenza la corruzione spirituale che caratterizza le menti delle persone che incontra.
Le attitudini visionarie dei vari personaggi si concentrano attorno al Salvini, unico in grado di assecondare i vari flussi onirici, come avviene in seguito all’incontro con Gonnella. Il prefetto sembrerà catapultarlo nei propri deliri, fino a che le dimensioni dei due personaggi non sembreranno entrambe figlie della stessa mente. 
Dai vagheggiamenti dei due nascono immagini di forte critica alla società contemporanea.
La caduta dei valori morali e la corruzione spirituale è rappresentata dalle situazioni in cui si trovano ad agire o a cui assistono, come il matrimonio (ai limiti del grottesco) tra una nobildonna e un poveraccio.
Durante la curiosa vicenda, la moglie prende il sopravvento fisico e psicologico sul marito, ribaltando in maniera ironica le gerarchie sociali prestabilite ed evidenziando un uomo sempre più indebolito e lascivo, dominato da una donna prepotente e dittatrice.

Da notare, inoltre, è la riuscita contaminazione di più forme artistiche: oltre le immagini pittoriche che segnano l’inizio della pellicola, troviamo molti passaggi in cui Benigni si impegna in vere e proprie recite poetiche, costituendo un vero e proprio manifesto ideologico ed innalzando il livello del film.

Servirebbero pagine e pagine per raccontare tutto il valore dissacrante che Fellini muove nei confronti della società del progresso e per questo rimando alla visione integrale del film, di cui, per concludere, cito una frase simbolica.

“Vengo invitato a commentare un avvenimento di questa portata. Perdonatemi, ma devo confessarvi la mia assoluta incapacità a farlo. Posso solo ripetere con il poeta: nulla si sa, tutto si immagina.”

 

T. Supertramp