Solipsia Whispers: “The Millionaire – Danny Boyle”

Se penso alle modalità più belle utilizzate dai registi contemporanei per raccontare una storia, mi viene in mente senza dubbio “The Milionaire” di Danny Boyle (già noto al pubblico del grande schermo per aver dato vita al successo di “Trainspotting”), con la collaborazione della regista indiana Loveleen Tandan.

Ciò che sorprende in questa produzione è la crudezza con cui vengono raccontati i fatti: lo spettatore è messo davanti all’ineluttabile verità delle condizioni di vita disastrose in cui è costretta a vivere una parte della popolazione mondiale.
La trama, tratta dal romanzo di Vikas Swarup “Le dodici domande”, narra le sorti di Jamal.

Ci troviamo in India, a Mumbai: una città lacerata da forti contraddizioni socio-economiche, divisa tra coloro che vivono in maniera agiata e coloro che, invece, sono costretti a scendere in strada già da bambini per chiedere l’elemosina.

Molte scene di questa pellicola sono semplicemente toccanti, altre incutono addirittura terrore per il tipo di realtà che pongono dinanzi alla macchina da presa. Una realtà indubbiamente lontana da noi, che ci aiuta molto a riflettere su condizioni di vita da cui siamo avulsi e di cui raramente riceviamo notizie.
Una delle tematiche chiave del film è, infatti, una forte denuncia all’oscurantismo operato dai mass-media.

Il peso della storia viene sostenuto con maestria da alcuni espedienti adottati dal regista. Un esempio lampante è la scelta di giocare l’intero racconto su un duplice flashback: la narrazione procede in parallelo tra uno studio televisivo (dove il protagonista si presenta per partecipare al gioco a premi “Il milionario”) ed una centrale di polizia (nella quale viene torturato, perché accusato di avere imbrogliato).

Questa tecnica evidenzia ulteriormente le intenzioni di denuncia del film: mette a nudo l’unica verità plausibile, grazie ai lunghi flashback rievocati dalle domande del tv-show, alternate a quelle del capo della poliziaI ricordi di Jamal, al di là della narrazione, sembrano denunciare a gran voce una situazione scomoda che il mondo non vuole sapere, ma che risulta più vera che mai.

Soprattutto, la storia porta a chiedersi dove abiti la verità, quale sia il parametro per valutare l’ovvietà di un fatto rispetto ad un altro. Da queste domande emerge la relatività della realtà, che il regista inglese vuole evidenziare. Boyle smaschera la banalità dei benpensanti e testimonia che la verità di ogni singolo individuo deriva unicamente dalla propria esperienza di vita che, essendo diversa da ogni altra, non è sempre comprensibile al prossimo.

In conclusione, ritengo interessante parlare di una curiosità che ha caratterizzato i mesi successivi all’uscita del film e che, a mio parere, aiuta ancora di più ad intendere la denuncia della realtà sociale di cui Boyle sta parlando: nel maggio 2009, infatti, nonostante la notorietà e i premi riconosciuti alla pellicola, le case delle famiglie di due degli attori bambini, Azharuddin Mohammed Ismail (nel ruolo di Salim) e Rubina Ali (interprete di Latika, rispettivamente fratello e donna amata del protagonista), furono demolite dalle autorità indiane senza alcun preavviso. Nel corso della demolizione il ragazzo e il padre della ragazza furono malmenati dalla polizia. Emerge con forza come i governi locali vogliano oscurare a qualunque costo una realtà che risulta indubbiamente scomoda, ma non per questo può essere accantonata.

Il messaggio è dunque chiaro. Il primo e miglior modo di aiutare il prossimo è quello di conoscerlo, fare informazione, di sapere di cosa si sta parlando. Boyle fa proprio questo, ci mette davanti ad una verità che altrimenti, sempre più frequentemente, viene messa da parte e chiusa a chiave in sgabuzzino da chi, troppo spesso, decide cosa mostrarci e cosa eludere.

T. Supertramp