IO e l’altro IO

“Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi.”

Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione

La riflessione di Merleau-Ponty (1908-1961), uno dei principali esponenti della fenomenologia francese del Novecento, è incentrata sul tema della percezione. Quest’ultima, a partire dalla riflessione dell’autore, non si identifica più in un insieme di sensazioni atomiche casuali, ma è piuttosto vista come un processo caratterizzato da una dimensione attiva, in quanto apertura alla realtà circostante, al mondo e all’altro.

Una delle caratteristiche della percezione è infatti quella di presentarsi come una totalità.

Essa, infatti, non è da considerarsi come una semplice somma di sensazioni, bensì come una forma non divisibile di elementi isolati. Allo stesso modo è da intendersi anche l’uomo in relazione al mondo circostante: come accade in un film, all’interno del quale ogni scena, che esiste indipendentemente dalle altre, trova senso nell’essere consequenziale alle successive, allo stesso modo l’uomo ed il mondo esistono a prescindere l’uno dall’altro, ma soltanto l’uno nell’altro possono trovare il loro senso.

Il corpo dunque non è solamente un oggetto, un contenitore per la nostra coscienza, ma una condizione necessaria della nostra esperienza di uomini, in quanto consente la nostra apertura al mondo.

Il corpo assume così, nella nostra esistenza, un ruolo fondamentale, in quanto mezzo che ci pone in relazione con un altro “io”. Ed è proprio perchè il corpo ci pone in relazione con il mondo, ci permette anche di comprendere la diversità. Per la nostra costituzione di esseri umani abbiamo l’esigenza di incontrarci e condividere insieme la realtà circostante. Il corpo rappresenta il nostro punto di vista sul mondo, è il veicolo dell’essere al mondo. Avere un corpo significa per l’individuo impegnarsi continuamente, relazionarsi con la realtà circostante e con altri soggetti, che per quanto profondamente diversi, hanno un corpo che, come il nostro, ha la medesima funzione di apertura all’altro. Ed è proprio in questa apertura che la nostra esistenza trova senso.

Dunque, se fossimo tutti uguali, il corpo terminerebbe quella che è la sua funzione principale, non sarebbe più necessaria questa apertura fondamentale e tutto si risolverebbe in noi stessi.

E’ questo il problema che stiamo vivendo attualmente: i corpi stanno progressivamente rimando in solitudine e come tali urlano.

Come sottolineato da Massimo Cacciari in un suo articolo pubblicato su LEspresso:

«L’io è veramente tale quando viene chiamato Tu dall’altro. La singolarità del mio Io è tale quando la scopro comparandomi al Tu dell’altro. Altrimenti non sono questo Singolo. Unico nel proprio valore, non scambiabile con nessuno, merce o strumento di nessuno, ma soltanto un punto indistinto, un granello di sabbia nella indifferenza del Tutto». 

Solamente nel momento in cui riconosciamo in chi abbiamo di fronte un altro io, potremmo parlare di comunità: potremmo parlare di un Noi di cui tutti armoniosamente facciamo parte, sebbene profondamente diversi. Oggi più che mai, offuscati dal superfluo e dall’individualismo visto come valore principale, abbiamo bisogno di aprirci all’altro, comprendere il suo valore e ricordarci che tra noi e la realtà che ci circonda non vi è poi una grande distanza.

Prix

(ph: Svario)

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