Perchè Salvini e la Dark Polo Gang sono due facce della stessa medaglia

Se mi aveste davanti in questo momento, probabilmente mi stareste guardando con un misto di dubbio e spiazzamento. Ma provate a seguirmi.

La situazione politica italiana attuale (più che politica, elettorale) è figlia di anni di spersonalizzazione e svuotamento dei contenuti, delle idee (e delle ideologie) e degli spazi politici: pensiamo alle funzioni delle sezioni di quartiere, ormai ridotte a circoli del tressette o della briscola, a seconda dei poli geografici dove ci si trovi; oppure dei movimenti studenteschi, voci forti e rumorose, ma ormai ridotte al solo fattore uditivo. Le generazioni che, dal ’93 in poi, erano in dovere di rappresentare una nuova interpretazione della gestione politica, incaricate dal destino di dover spezzare la catena marcia che legava la “cosa pubblica” alla “cosa nostra” (e tutto quel che ne consegue), hanno invece portato il dibattito sulle proiezioni delle proprie volontà, su futili mistificazioni della realtà, attraverso meccanizzazioni operate proprio davanti ai nostri occhi; attraverso canali a portata di pollice, a qualsiasi ora del giorno e della notte. In quegli anni, il velo che ricopriva temi, parole, luoghi fisici, istituzioni, venne squarciato dal peso della verità. Una verità tutta italiana, un edificio di bugie, cementato con soldi sporchi e appalti truccati, abusivismo e chiesa, mafia e televisione. Le manovre finanziarie, sempre di lì in poi, non sono state altro che misure impostate in direzione delle prossime elezioni: mai volte al paese intero, ma, nella maggior parte dei casi, anche indirettamente, al proprio elettorato (si pensi alla manovra finanziaria del 2002 con l’aumento delle pensioni minime, le detrazioni dei figli a carico; o all’attuale manovra, 16 anni dopo, composta da uno stipendio per i disoccupati e un condono per gli evasori\abusivi).

Da quel momento, la fiducia nella gestione della ‘cosa pubblica’ è sembrata crollare sotto il peso stesso della suddetta gestione: schiacciata dai propri slogan, a cui gli stessi elettori, o i figli di questi, continuano a sorridere, come pecore che brucano l’erba verde e fresca appena fuori dal macello. 

Ritornando al nocciolo di questo vacuo frutto sempreverde, l’attuale elettorato del governo fascio-grillo-leghista, nella stragrande maggioranza dei casi, sta aspettando qualche misura assistenzialistica, o abbassamento di aliquote, o condono fiscale; tutte misure volte ad accontentare, non a risolvere. Tutto ciò è conseguenza naturale dello svuotamento dei contenuti maturato e stagionato nello spazio sociale\elettorale italiano (vediamo come gli ultimi post su Instagram del Ministro degli Inferni siano riferiti alla sua relazione appena finita, e questo dovrebbe far riflettere; effettivamente, anche solo il fatto che abbia un uso così sconsiderato dei social dovrebbe far riflettere, ma parleremo anche di questo, una cosa alla volta).

Guardandoci intorno, per strada, sui social, vediamo come la normalizzazione del male e dell’incompetenza si stia consumando quotidianamente, con piccoli ma ineluttabili passi.

Ritornando a quel periodo, proprio negli istanti in cui si delineavano le vicende del processo “Mani pulite”, nei centri sociali, principalmente di Milano e Bologna, si facevano le prove per qualcosa di grande; l’Italia sviluppa il suo profilo hip-hop in questi luoghi, sotto i ponti, nelle periferie; luoghi dimenticati da tutti, in primis dalla politica.  Di conseguenza, questo ambiente ha sempre incarnato valori di protesta sociale, di disagio e rabbia, ma anche di rispetto, fratellanza, solidarietà e più in generale princìpi che, come detto in precedenza, sono scomparsi anche nell’idealizzazione di un ipotetico progetto politico di massa; valori, questi, che ormai sono bollati come “passati”, “asfaltati”, e, nel più dei casi, “buonisti”. Il processo d’evoluzione del rap italiano ovviamente, si ispira a quello già vissuto negli Stati Uniti, e in quanto tale, si faceva portatore di una voce che, di solito, era ignorata, perché troppo scomoda, troppo vera: i primi artisti come Gruff, i SangueMisto, Kaos One, i Colle der Fomento (e potremmo continuare ad oltranza) incarnavano proprio questa voce.

Il processo d’evoluzione passa, tra il 2008 e il 2012, dall’underground al mainstream, quasi da subito perdendo i valori di partenza; negli anni, il contenuto si è andato sempre più offuscando, lasciando inesorabilmente spazio a messaggi totalmente vuoti e confezionati perfettamente su misura dell’ascoltatore (consumatore) medio. Ed è così che la rabbia degli ultimi, quella proveniente dal disagio di dove la politica non c’era, e non c’è, si trasforma in desiderio conformista, in soldi, bitches e belle macchine, oppure, nell’urna elettorale, in slogan impossibili e riforme inutili. Quello che prima serviva per trasmettere una scossa che potesse cambiare la società, per rappresentare una parte sempre dimenticata nelle aule parlamentari, ora serve per addormentare le membra con parole che sono soltanto un ammasso di lettere; senza senso, basta che suoni bene. Stessa politica utilizzata nella scelta degli slogan elettorali, direi. Ed è così che, molto spesso, l’elettore medio di Salvini sia anche ascoltatore della Dark Polo Gang, o di altri ammassi di note e denti d’oro.

Solipsia nasce anche per questo. Una bandiera che si alza da un ammasso di corpi morti, o almeno, apparentemente tali. Un cumulo di macerie che si eleva, alto nel cielo, e si unisce diventando terra, isola, proprio sopra la vostra testa. Nata dal voler rendere quei passi, di cui parlavo pocanzi, non più ineluttabili. Nata dalla consapevolezza che c’è qualcosa da fare, che siamo già in ritardo, e che non possiamo sfuggire al nostro destino. Bello, o brutto che sia.

Mister O

(ph: Brindisi)